mercoledì 19 maggio 2021

Autogrill Valli di Carnia.

 

Il primo segnale di rinascita della Carnia dopo la pandemia è stato dato dal Carnia Industrial Park con un nuovo avveniristico piano regolatore immaginato, progettato e attuato con una rapidità eccezionale, in collaborazione con la società Autostrade. Il casello autostradale è stato spostato su quella che era la grande rotonda, ma recuperando l’idea di qualcosa di artistico sul luogo è stato pensato come una avveniristica opera architettonica collegata alla scritta Carnia di stile holliwodiano collocata sul fianco della montagna di fronte. L’edificio Valli di Carnia è diventato l’Autogrill “Valli della Carnia”, in una soluzione avveniristica che fa di un autogrill la vetrina che interfaccia l’autostrada con un territorio. Dotato di due ampi parcheggi, uno sul sedime  interno dell’autostrada l’altro in quello della zona industriale, consente l’accesso pedonale sia dall’autostrada che dalla zona industriale. L’interno è articolato in una serie di vetrine-negozio per i prodotti della Carnia e vetrine-mostra come richiamo turistico. Un ampio spazio è stato attrezzato come bici porto, con la possibilità di lasciare l’auto e inforcare la bicicletta per vivere la Carnia in modo veramente esperienziale, sulle tre ciclabili di Passo monte croce-Alpe Adria, dello Zoncolan-Crostis-Sappada, del Tagliamento-Cadore e sul reticolo di piste minori che si dipana dalle arterie principali, collegando in sistema di B&B caratterizzati dallo spirito di accoglienza che la Carnia ha finalmente ritrovato dopo la pandemia.

giovedì 16 luglio 2020

Tra Hub e Spoke la nuova sanità.

                Altra fondamentale rivoluzione che ha cambiato la società carnica nel fatidico 2020 è stata la riforma sanitaria. Si è finalmente affermato il sistema a rete. L’ospedale di Udine è diventato l’Hub a cui si può accedere da ogni ospedale periferico (spoke), per cui chi entra all’Ospedale di Tolmezzo è come  se entrasse in quello di Udine. Sotto il profilo virtuale perché il medico di Tolmezzo è collegato con il primario di Udine come fosse un suo assistente. Ma anche sotto il profilo funzionale perché fa servizio all’ospedale di Tolmezzo settimanalmente uno specialista dell’ospedale di Udine, e l’ospedale di Tolmezzo viene considerato  un reparto periferico di quello di Udine, a cui vengono trasferiti i casi più complessi, e che riceve di ritorno i degenti in convalescenza.

A suo volta l’Ospedale di Tolmezzo è un Hub per i medici di base. Come spoke questi girano con uno zainetto attrezzato con gli strumenti di pronto intervento, ma sono collegati anche all’ospedale, per cui riescono a dare sul territorio interventi qualificati come quelli dell’ospedale.

Ci voleva tanto per arrivarci? L’importante è che si sia arrivati!


venerdì 26 giugno 2020

Il mitico 2020-


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Il mitico 2020!
                Nel far diventare mitici gli anni venti del Duemila in Carnia,  è stato determinante proprio il mitico anno  venti. L’anno disgraziato per eccellenza nella storia della Carnia, perché l’anno della pandemia da Coronavirus. Ma è stato proprio la disgrazia a motivare la ripartenza. Toccato il fondo non si poteva far altro che ripartire e si ripartì alla grande avendo come nuovo motore il Consorzio Industriale che dopo aver mutato il nome da Cosint a Carnia Industrial Parck decise un nuovo cambio in Agenzia per lo sviluppo economico della Carnia. Nomen est omen, dicevano i latini a dire che i nomi a volte sono presagio.
                In effetti avvenne che la nuova Agenzia affiancasse la nuova Comunità (che pure aveva cambiato nome ritornando allo storico Comunità di Carnia,  rinunciando all’orribile “unione territoriale), in un progetto a doppio motore, la Comunità quello del sociale, l’Agenzia quello dell’economico.
                D’intesa con la Regione che si lasciò coinvolgere nell’idea che in Carnia si sarebbe potuto sviluppare un modello si sviluppo delle aree montane da ripetere nelle altre zone montane della Regione, ma anche a livello nazionale, facendo, a sua volta, del Friuli Venezia Giulia un modello.
                Ovvia, ma finalmente decisiva, la scelta dell’Agenzia di mettere come premessa ad ogni possibile altra azione la realizzazione dell’infrastruttura telematica, arrivando a servire anche i casolari e le malghe.
                Ovvio ma rivoluzionario allo stesso tempo il piano dell’Agenzia per aver finalmente capito che non si parte dai settori, ma dalle risorse umane.  Non basta la leva finanziaria se, non trova un punto d’appoggio in un nuovo rapporto  della gente con il proprio territorio.  Da leggere non più come luogo da abbandonare ma luogo pieno di risorse, per chi le sa trasformare in opportunità d’impresa.
In questa ottica l’Agenzia:
1 – Ha continuato  ad operare come Consorzio industriale, in linea con quanto stavano facendo gli altri consorzi industriali e quanto prevedeva la legislazione regionale in materia.
2 – E’ diventata Ente strumentale della Comunità Montana e quindi attua progetti per conto della stessa.
3 – Si è proposta  come interfaccia sul territorio della Carnia degli Enti Regionali che operano per lo sviluppo dei vari settori, dall’agricolo all’artigianale e anche del turismo, diventando appunto leader d’un progetto integrato di sviluppo economico del territorio, affiancato a un progetto di sviluppo sociale gestito dalla UTI/Comunità Montana.
4 – Si è mossa come interfaccia sul territorio dell’Università di Udine  per progetti di ricerca applicata e trasferimento dei risultati della ricerca, facendo diventare  Amaro, (quindi la Carnia) il cuore ove s’incontra e diventa trasferimento tecnologico l’incontro della ricerca tra l’Università di Udine e quella di Klagenfurt in un rapporto stretto tra Udine e Villaco.
5 - E diventata Centro di Innovazione Tecnologica, incubatore di start up. Con il progetto Impresa&Casa ha offerto ai giovani imprenditori lo spazio per attivare l'impresa ma anche la la casa in Carnia ove venire ad abitare, recuperando e sistemando secondo le nuove esigenze abitative, in collaborazione con l'Ater di Udine, case storiche abbandonate
6 – Si è proposta  come interfaccia del sistema scolastico  locale per coordinare i programmi di alternanza scuola lavoro con l’obiettivo di promuovere una cultura che valorizzi il fare impresa come scelta di vita, mentre la Comunità entrava nelle scuole trasformando l’ora di cittadinanza in ora di “cultura d’impresa” per valorizzare il “fare impresa”.
                Fondamentale è stata l’idea di coinvolgere tutti i 28 Comuni portandoli a definire un progetto di sviluppo del loro territorio, coordinato dall’Agenzia e dalla Comunità, sull’esempio di quello di Amaro, considerato prototipo.

Amaro, cuore della Carnia.

                Il titolo era nato dall’immagine del’Autostrada vista come l’arteria polmonare  che porta il sangue per il rilancio della Carnia. Lo svincolo nella Zona Industriale di Amaro costituisce il cuore che pompa il sangue nell’aorta Amaro-Tolmezzo  dalla quale si diramano le arterie più piccole che portano il sangue alle Valli della Carnia.
                Dalla metafora alla realtà, come il cuore,  lo snodo di Amaro non attrae dalla Carnia, favorendo lo spopolamento, ma pompa attraverso la rete telematica idee, iniziative e risorse sul territorio.
                Per stare il linea con le terminologie in uso, Amaro prototipo di smart village per un sistema che fa della Carnia una smart land. Amaro  prototipo di Living Lab  "piattaforma sociotecnica con risorse condivise, un quadro di collaborazione e un contesto di vita reale, che organizza i suoi stakeholder in un ecosistema di innovazione che si basa su governance rappresentativa, standard aperti e diverse attività e metodi per raccogliere, creare , comunicare e fornire nuove conoscenze, soluzioni convalidate, sviluppo professionale e impatto sociale ”[ 

                Obiettivi.
1 – Valorizzare lo scambio Autostrada –territorio, cogliendo le opportunità che derivano dall’attraversamento dell’autostrada, sia sotto il profilo turistico che sotto quello industriale.
a)      Dal punto di vista industriale la zona di Amaro, attraversata dall’autostrada, può essere punto di incontro per la ricerca applicata e il trasferimento tecnologico tra le Università di Udine e Klagenfurt, tra Udine e Villaco
b)      Dal punto di vista turistico l’autostrada può aprire una vetrina sulla Carnia, con il conseguente invito a visitarla.  A questi fine  si prevede il recupero dell’Edificio Valli di Carnia, e la sistemazione urbanistica della zona, trasformando il Casello autostradale in una sorta di autogrill della Carnia e sulla Carnia
2 – Invertire la tendenza in atto allo spopolamento, con una politica di sviluppo che partendo dalla realizzazione d’una efficace rete telematica, favorisca il rafforzamento dei nodi periferici della rete, e quindi gli insediamenti periferici facendo della Carnia uno smartvillage.  L’immagine iniziale del cuore e del sistema sanguigno, viene calata sul territorio, attraverso la rete telematica a banda larga che spilla dall’autostrada e collega il territorio, recuperando e sviluppando il precedente progetto Mercurio.
3 – Promuovere lo sviluppo di un sistema turistico  basato sul cicloturismo, che ripeta l’immagine del cuore. Dal cuore di Amaro zona di scambio autovettura/bicicletta assistita, realizzare il diramarsi di una rete di percorsi: della Julia Augusta, (per Passo di Monte Croce e rientro da Tarvisio), dello Zoncolan, della Panoramica delle Vette, della Mauria e tanti percorsi minori. Amaro diventa il porto ove il cicloturisti lasciano l’auto, quando non arrivano a La Carnia in treno, o quando sono già in transito sull’Alpe Adria, per salire nei percorsi delle Valli di Carnia.
       La Carnia li accoglie sviluppando un sistema di ricettività diffusa di Alberghi diffusi, B&B e affittacamere.
4 – Anche a livello industriale fare della zona industriale di  Amaro un hub con spoke nelle diverse valli, da caratterizzare secondo le vocazioni (Paluzza-Secab) – Villa Santina (agroalimentari) – Ampezzo (indotto)
5 – Allargare la zona industriale di Amaro a quella di Stazione per la Carnia, creando il collegamento auto/rotaia interessante sia a livello industriale che turistico.
6 – In ultimo, ma in effetti per primo perché preliminare, ripensare allo sviluppo partendo dalla valorizzazione delle risorse umane del territorio, interagendo con il sistema scolastico in un piano scuola.
                In questo modo Amaro si è posto come Comune prototipo. Alla obiezione che non poteva esserlo  perché non ha la vocazione turistica,  che qualcuno ritiene asse portante per lo sviluppo futuro della Carnia.
                Pur con delle riserve su questo “asse portante” perché dei carnici si può dire tutto ma non certo che abbiano il senso dell’ospitalità alla base di questa vocazione,  comunque Amaro si  è posto come prototipo anche sotto il profilo turistico, immaginando delle azioni volte a favorire il turismo di giornata, a vantaggio degli ambienti pubblici locali. Un modello ripetibile su altra scala per la Carnia, per un turismo plurigiornaliero che favorisca lo sviluppo dell’imprenditoria della ricettività, affittacamere, B&B, alberghi.
                L’azione prevedeva di valorizzare il paesaggio e quindi la sentieristica che ne favorisce l’uso, come richiamo turistico. Applicando al territorio l’idea di internet of things,  si era fatto in modo che i sentieri parlino al turista. Agganciando il suo smarphone  il sistema spiega  ciò che si vede e lo suggestiona  con racconti  e leggende legati ai vari luoghi attraversati. In questo modo il turista viene indirizzato anche a utilizzare i servizi che offre il territorio.


                              

                 

venerdì 29 novembre 2019

Le cooperative di paese, i Municipi e il fare impresa.



Le cooperative di paese, i Municipi e il “fare impresa”.

Al passato non si ritorna ma dal passato si possono ricavare utili suggerimenti per il futuro. La Carnia per quasi un millennio fino al disastro portato dal ciclone Napoleone, come si legge  nella mia  Storia della Carnia, era un territorio organizzato in vicinie: prati e boschi erano di proprietà dei paese, non dei privati. Era così più facile impostare la gestione!
Si è pensato a questo negli anni venti organizzando le cooperative di paese. Lasciando perdere il discorso sul commassamento delle proprietà parcellizzate,  troppo complicato, si è costituito una cooperativa per condividere l’uso collettivo delle proprietà sia pratiche che boschive.
I territori incolti lasciavano avanzare il bosco che seppellivano i paesi già in agonia per la fuga dalla gente dovuta alla mancanza di servizi. La cooperativa fu il primo passo per invertire la tendenza. Con il conferimento dell’uso dei terreni incolti in proprietà le famiglie diventavano socie. Si riattivarono quindi di fatto le cooperative che gestivano le latterie fino agli anni 60 del Novecento.
            In qualche caso si trovò un giovane imprenditore agricolo cui affidare la gestione dei terreni così accorpati, in altri si arrivò a gestire in proprio un gregge di pecore, dando lavoro al solito disoccupato del paese. Con le attrezzature messe a disposizione dalla cooperativa, dei giovani procuravano le legna da ardere per tutto il paese. Mentre si discuteva se non fosse stato possibile allestire un sistema di teleriscaldamento.       Come era stato per le latteria la cooperativa faceva da aggregatore sociale, sviluppando iniziative a favore dei soci e quindi del paese.Si trovò una giovane madre disposta a tenere altri bambini oltre al suo e nacque l’asilo di famiglia, copiando l’idea del Tagesmutter. Contando sulla disponibilità di un anziano si organizzò il doposcuola, sia per le elementari che per le medie, ritenendo imprescindibile che i ragazzi imparassero a vivere in paese, conoscendo la sua storia. Per i giovani frequentanti le superiori e in qualche caso anche per gli universitari si organizzò l’alternanza scuola-lavoro, ampliata nell’idea di scuola-territorio. Obiettivo: diffondere la cultura e la mentalità imprenditoriale, portando a pensare il territorio nelle sue opportunità di business, o alla possibilità di importare opportunità di business su iniziative sia artigianali, di trasformazione dei prodotti locali che ad alta tecnologia, secondo le specifiche inclinazioni di ognuno. I doposcuola di paese  naturalmente erano in rete tra loro e con le scuole statali.
            Si mandarono dei giovani a fare dei corsi di pronto soccorso ma la squadra oltreché dei defibrillatori fu dotata d’uno strumento di telemedicina. Intervenendo l’infermiere indossava degli occhiali che lo facevano sembrare un nuotatore subacqueo. Erano strumenti attraverso i quali il medico dell’ospedale vedeva a distanza ciò che vedeva l’infermiere, captava le reazioni dell’ammalato al tocco dell’infermiere, ridotto a un uomo che si muoveva come un robot, comandato a distanza dal medico. Era come avere l’ospedale in paese!
            Si ottenne dal Comune che appaltasse a un privato il servizio di trasporto alunni come trasporto “persone e beni per il paese”. Aveva preso così ad arrivare ogni mattina un mezzo che portava il pane, i medicinali e i generi alimentari e ogni altra cosa fosse stata ordinata nei negozi del centro sede del Comune  il giorno precedente, compresa la posta. Nella casa della vicinia, ogni famiglia aveva un box personale nel quale, si recuperava quanto era stato depositato dall’addetto al trasporto.
            Nel frattempo si era allestita la “casa del paese”.!
            Si legge nella mia storia che, nel 1602 il Vicario patriarcale Agostino Bruno in visita alle chiese della Carnia, denunciò che molti curati per arrotondare il magro quartese avevano trasformato le canoniche in  osterie e spacci di alimentari. Gli immobili errano di solito proprietà comunali bastò riprenderseli e fare in forma cooperativa ciò che facevano i preti nel Seicento.
            Ma l’immobile era diventato veramente la “casa della comunità”. Come nelle vicinie storiche si eleggeva l’armentarius e il porcarius, che si occupavano delle vacche e dei porci, nelle nuove vicinie si nominava l’incaricato di gestire il punto di ritrovo. Un anno a famiglia! Come annuali erano tutti gli incarichi. Come per gli storici “meriga”  l’incarico a titolo gratuito era un onere, per questo era indispensabile la rotazione annuale.
             A evitare problemi con la Finanza si stabilì che non si trattava di attività economica ma di scambio di favori.  Il che era reso evidente dalla reintroduzione della moneta locale che aveva valore all’interno della vicinia, stabilendo il valore dello scambio. (Come nelle latterie del Novecento si acquistavano le “plèches” per acquistare il laticello). Qualche famiglia più intraprendente nel suo anno di gestione prese a organizzare della feste, degli incontri culturali, degli incontri per giocare. L’invidia “virtù” endemica dei carnici mise in concorrenza tra loro le vicinie a che si inventava qualcosa di nuovo per differenziarsi. La gara storica dei campanili divenne gara a chi sapeva rendere più vivibile e più accogliente il proprio paese.
            La Regione aveva istituito l’Istituto Autonomo per il ripopolamento della montagna, in sostituzione di quello delle case popolari. Aveva acquistato alcune case in vendita aveva trovato dei giovani imprenditori disposti a trasferirsi, aveva sistemato le case secondo le loro esigenze e le aveva assegnato a riscatto trentennale agevolato. Il titolo di proprietà dava ai nuovi abitanti il diritto a far parte della cooperativa, e il loro contributo di idee e di entusiasmo diede una svolta decisiva per il decollo della vicinia, come comunità nella quale era bello vivere, si poteva scegliere di vivere come in effetti presero a fare altri giovani, figli di abitanti storici che avevano abbandonato il paese, ma anche gente di città che apprezzava il senso che si era riusciti a dare al “vivere in paese”.
            In alcune famiglie di attivarono dei B&B che consentivano un’ integrazione del reddito ma anche il fatto che il paese fosse abitato da persone attratte dalla bellezza del “vivere in paese”. Si creò così un circuito virtuoso che in breve ripopolò il paese al punto che, come nelle storiche vicine, si dovettero stabilire dei criteri per “serrare” il paese, per evitare l’eccesso di popolazione!!!!

I Municipi.
            Le iniziative in campo sociale non nascono spontaneamente come i funghi ma sono il risultato dell’iniziativa di qualcuno. Nel caso della Carnia degli anni venti lo sviluppo delle “cooperative di paese” e stato favorito dal fatto che i Comuni hanno anticipato quello che sarebbe stato il loro ruolo di Municipi, quando si fosse realizzata la riforma del Comune unico. Delegata alla UTI/Comunità montane le funzioni tecnico amministrative, si assunsero il compito di agenti dello sviluppo socio-economico del loro territorio, partendo dalle singole realtà di paese. Assunto l’obiettivo di rianimare i paesi attraverso la costituzione delle cooperative, si assunsero il compito di animatori o facilitatori che dir si voglia, per favorirne la costituzione. Ci furono grandi discussioni, infinite riunioni ma alla fine in alcuni paesi dove il degrado sociale era evidente per la mancanza di ogni servizio, ma allo stesso tempo la popolazione era ancora così consistente da fare massa critica, l’idea decollò, per poi diffondersi, a caduta anche in realtà più difficili.
            Furono facilitati dall’obbligo alla manutenzione dei terreni agricoli imposti dalla legge regionale n. 10 del 2010 che riguarda proprio “Interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani”, e consente ai Comuni l’intervento come esproprio temporaneo.. Stimolarono il passaggio nella disponibilità della cooperativa come atto volontario e quindi il farsi soci, facendo presente che in alternativa si sarebbe ricorsi all’imposizione, all’esproprio dell’uso dei terreni incolti. La volontarietà del conferimento, con facoltà di recesso nel caso ritenessero di passare alla gestione autonoma, favorì l’operazione. Alcuni infatti chiesero di coltivare in proprio, gli apprezzamenti che storicamente erano stati utilizzati a campo. Anzi la cooperativa favorì l’iniziativa, dotandosi di attrezzature all’avanguardia da mettere a disposizione dei soci-coltivatori, e di servizi di marketing per la vendita in loco e online dei prodotti..
            Furono i Municipi ad attivare la banda larga, ad attivare il trasporto multifunzione e multi servizio, a mettere a disposizione i locali per il doposcuola, e quelli per la “casa della vicinia”. Furono loro, ad attivarsi perché fosse impostato il servizio di telemedicina.
            Furono loro a fare il marketing dell’idea, favorendo lo sviluppo dei B&& e la loro messa in rete. Si affermò così accanto all’Albergo diffuso l’Albergo diffuso virtuale”, ottenuto potenziando l’attività della  già esistente cooperativa tra gestori di B&B. Furono loro a impegnarsi nella diffusione della cultura dell’accoglienza per far in modo che il territorio unisse alle bellezze naturali, una particolare sensibilità e disponibilità dei residenti nei confronti dei turisti
            A monte la ripresa del progetto “Imprenderò”, un’azione a vari livelli per diffondere l’idea che mettere a frutto la propria ingegnosità per attuare “in proprio” qualcosa fosse un modo per realizzarsi al meglio sul piano umano prima ancora che una scelta economica.
            In collegamento con il Consorzio industriale diventato Agenzia di sviluppo della Carnia, che promuoveva le start up in ogni settore con il suo progetto “Impresa” . Era previsto uno scouting a livello regionale per indurre i portatori di idee a trasferirsi in Carnia, unendosi ai portatori di idee locali. Ogni idea, se considerata fattibile, veniva partecipata dall’Agenzia al 49% e assistita mettendo a disposizione gli “angeli” che dovevano seguire l’iniziativa nella fase di decollo. Si avviarono le iniziative più disparate, da quelle che presero a utilizzare il Vallo Littorio per stagionare i formaggi, o far crescere piante officinali in ambiente protetto, fino a quella che attivò a Gracco di Rigolato un laboratorio di ricerca sulle cellule staminali in collaborazione con l’Università di Francoforte.


mercoledì 14 marzo 2018

I gamberi alla meta!

Vuota finalmente la canonica di Fusea!
            Il prof Furio Bianco già docente di storia moderna all’Università di Udine, aveva trasferito la sua passione per la storia per la Carnia in passione per la Carnia. Al punto di decidere di venire a risiedervi facendo il pendolare su Udine. D’intesa con il parroco e il sindaco di Tolmezzo del tempo (oltre vent’anni fa!),aveva ottenuto in uso un pezzetto della canonica di Fusea (in parte di proprietà comunale e in parte parrocchiale). In conto affitto l’aveva sistemato e trasformato in un confortevole appartamento, continuando poi a pagare regolarmente l’affitto al Comune. Per inciso, senza la sua presenza l’intero edificio della canonica, disabitato, sarebbe ora  in dissesto.
            Per un inspiegabile colpo di genio il 17 giugno 2017 il Comune ha deciso di cedere in uso, “ a scopo di culto” tutta la Canonica (per 8/10 di sua proprietà) alla parrocchia di Cazzaso (essendo nel frattempo “estinta” la parrocchia di Fusea). Al di là della discutibilità sotto il profilo della corretta gestione del patrimonio comunale, il Comune va scusato perché non poteva prevedere che dalla sua concessione derivasse la cacciata del professore. Nel corso della trattativa infatti il parroco aveva manifestato  l’intenzione di mantenere il rapporto con il prof. Bianco e per questo gli aveva fatto avere anche la  bozza d’un contratto d’affitto da stipularsi con la Parrocchia invece che con il Comune.  
            Stipulata la convenzione con il Comune, il 19 giugno 1917, con un classico scherzo da prete[1], il successivo 28 novembre il parroco inviava la raccomandata di sfratto al prof. Bianco, affermando l’urgente  necessità di “definire i tempi e i modi con cui intenderà rilasciare l’immobile” perché “la casa parrocchiale non può essere ceduta neppure parzialmente in comodato o locazione a terzi”, sottolineando che trascorsi i 60 giorni dalla ricezione della raccomandata di sfratto la Parrocchia, avrebbe dovuto “procedere con tutte le azioni a tutela degli interesse della Parrocchia stessa nelle sedi opportune”.
            Agli storici (e quindi anche al prof. Bianco) potrebbe interessare capire chi ha bluffato! Io da profano sono costretto a pensare che abbia dato  fastidio l’esempio che il prof. Bianco stava dando: lo scandalo di scegliere di venire a risiedere in montagna. Contro tutte le logiche di chi, al di là delle belle parole, fa di tutto perché la Carnia diventi VUOTA! (Oggi (14 marzo ) il prof. ha FINALMENTE consegnato le chiavi! Si può quindi immaginare la soddisfazione del Parroco e del Sindaco!!!)



[1] L’espressione si utilizza per indicare una burla sgradevole ed inaspettata, un brutto tiro spesso fatto da persone insospettabili. Essa nasce dalla tradizione anticlericale nelle regioni appartenenti agli Stati pontifici durante il Risorgimento


mercoledì 7 febbraio 2018

Ripopolare la montagna, a passo di gambero!

LETTERA APERTA AL SINDACO DI TOLMEZZO
Preg.mo Sig. Francesco Brollo                                          p.c.       Mons. Sergio Di Giusto
 Sindaco del Comune di Tolmezzo.                                  Curia Arcivescovile, Via Treppo, 7 - Udine
            Oggetto: utilizzo dell’ex canonica di Fusea.
            Ammesso e non concesso che esista un obbligo per i Comuni di provvedere l’alloggio ai parroci, è evidente che questo obbligo decade se non c’è il parroco, o a maggior ragione se, come nel caso di Fusea,  con decreto del Ministero dell’interno in data 29.08.1986, sia stata “estinta” la personalità giuridica della chiesa parrocchiale  e il suo patrimonio sia stato trasferito di diritto alla Parrocchia di Cazzaso.
 L’immobile ex-canonica di Fusea è per 8/10 di proprietà comunale, accatastato “in usufrutto al curato pro tempore”. Mancando il parroco residente, (dal 1977), il diritto all’usufrutto si è evidentemente prescritto per il non uso e per l’abbandono del bene. Ci si troverebbe a discutere di un rudere se i sindaci predecessori non avessero provveduto, con buon senso, a dare diversa destinazione all’immobile. Ciò facendo hanno evitato il dissesto anche dei due decimi di proprietà della parrocchia.
            Ora il parroco pro tempore  Mons. Zanello ha rivendicato all’uso della Parrocchia di Cazzaso anche la parte comunale dell’ex-canonica di Fusea, (dopo averla rivendicata con il predecessore Zearo, nel 2012, come “estinto” Parroco di Fusea!). A che titolo, per quanto detto sopra? Invece, inspiegabilmente, il Comune ha aderito alla richiesta  con la convenzione n.24/2017 S.P. del 19 giugno 2017.
            Dall’operazione sarebbe derivato l’obbligo per la Parrocchia di Cazzaso a sfrattare l’inquilino che ha consentito di evitare il dissesto dell’immobile in questi anni. Eppure,  il parroco si era impegnato a mantenere il rapporto di locazione in essere. Non solo, il mese di maggio del 2016,  aveva sottoposto al locatario una proposta di nuovo contratto di locazione. Che cosa è cambiato per indurre il Parroco a  rappresentare  al locatario, il 28 novembre u.s. la necessità di “definire i tempi e i modi con cui intenderà rilasciare l’immobile” perché “la casa parrocchiale non può essere ceduta neppure parzialmente in comodato o locazione a terzi”? Neppure con il consenso e a richiesta del Comune proprietario?
            Chi, è perché, ha bluffato in questa fase della vicenda?
            Il Comune quindi avrebbe concesso un immobile, proprio bene patrimoniale, alla Parrocchia di Cazzaso costretta a lasciarlo vuoto, ai sensi della stessa convenzione con la quale le è stato concesso!!! In “punta di diritto” quindi la ex canonica di Fusea sarà d’ora in poi inutilizzata a fini di culto  come quella di Cazzaso. Con l’impegno per il Comune alla manutenzione straordinaria!
            Sembrerebbe che il vantaggio per il Comune su questa operazione debba ricercarsi nel fatto che ora potrà realizzare un campetto gioco nel cortile della ex canonica. Rilevato che il terreno è di proprietà comunale, lo si è dato in uso alla Parrocchia di Cazzaso, ora quindi il costruendo campo giochi, sarà gravato dal vincolo di “destinazione al culto”, utilizzabile a parere del Parroco. Così pure d’ora in poi la Consulta frazionale potrà utilizzare i locali di proprietà comunale, “concordando il calendario delle riunioni” con il Parroco. Ha  senso tutto questo?
            L’unico vero problema da risolvere era il fatto che, in conto affitto (regolarmente poi pagato al Comune) il locatario (con il tacito consenso di Sindaco e Parroco del tempo) aveva realizzato l’alloggio utilizzando in commistione locali del Comune e della parrocchia. Non essendo possibile il ripristino della situazione quo ante, sarebbe bastato definire un accordo di permuta delle proprietà, riconoscendo alla Parrocchia i suoi  due decimi, in una soluzione fruibile dalla stessa per le attività parrocchiali, in cambio delle preesistenti tre stanze su tre piani, per questo inutilizzabili “a fini di culto”. Si sarebbero così salvaguardati i diritti e gli interessi sia della Parrocchia  che quelli del Comune.
            A prescindere dalla possibilità che,  per la fattispecie determinatasi, il Comune potesse risolvere la situazione facendo valere il diritto d’usucapione, si può ancora arrivare a questa soluzione di buon senso, discutendo  il caso con la Curia, dopo aver provocato il recesso dalla citata sciagurata convenzione.
            Non è un “fatto privato”, come ha affermato in Consiglio un assessore, ma emblematico e politicamente significativo, l’allontanamento, (per iniziativa diretta o indiretta del Comune capoluogo della Carnia) per lasciare vuoto un nuovo alloggio, d’una persona che in questi anni ha dimostrato nei fatti che si può scegliere di vivere in montagna. Se poi nel caso si tratta d’uno studioso dei problemi della Carnia (fra le tante opere  basti ricordare “Comunità di Carnia” Ed. Casamassima, 1985), l’allontanamento, invece che il conferimento della cittadinanza onoraria, diventa sorprendente come fatto caratterizzante  l’anno di “Tolmezzo città alpina”.
          
                                                                                         


lunedì 22 gennaio 2018

Tolmezzo, città-mercato.

       Tolmezzo, a suo tempo, era un città murata come Venzone. Ma era anche una città-mercato. Sviluppata  all’interno come un anello da percorrere pedonalmente. Alla fine dell’Ottocento inizi del Novecento, è passata l’idea sciagurata di sventrarla e farne una città di transito. Nel 1906 si è demolita anche la porta di sopra e si è allungato il paese su Via Matteotti, spostandovi le attività commerciali che avrebbero dovuto completare l’anello su via Del Din e via Linussio. 
       Negli anni venti si aprì una grande discussione sul tema della possibilità di ripristinare l’impianto originario. Vinsero quelli dei si e si impostò un piano regolatore che prevedeva nel giro di venti anni di riportare, “entro le mura” le funzioni commerciali e di servizio emigrate. 
        Non sono state ricostruite le mura, ma al loro posto c’è un pettine di parcheggi. Via Lequio è diventata la via che fascia la città mercato, attrezzata con spazi parcheggio.               All’interno il circuito pedonale è stato rafforzato con un circuito coperto dai sottoportici. Ci sono voluti venti anni, e la lungimiranza degli amministratori degli anni venti, ma ora (siamo nel 2050!) Tolmezzo è famosa e in pieno sviluppo, perché è diventata una moderna città-fiera su un impianto urbanistico storico, una originale quindi città-mercato.