ANTEFATTO
Con la macchina del futuro siamo finiti nel 2050. E’ stato ritrovato un
racconto scritto negli anni trenta nel quale, lamentando la crisi economica e
sociale che sta attraversando Tolmezzo, si ripropone con nostalgia e rimpianto
la Tolmezzo degli anni venti (2020), che con non celato orgoglio l’autore
definisce “mitici”.
Anche quella volta, tiene a sottolineare si era usciti da una crisi
terribile. C’era stato il disgraziato 2015 che viene definito da lui (forse per
dirci che sa di latino!) “annus horribillimus” l’anno che più orribile non si
può: l’anno della chiusura del Tribunale, del fallimento “de facto” se non “de
iure” della Coop.Ca, della chiusura delle caserme. Etc. etc. di disgrazia in
disgrazia!
Ma è stato proprio l’aver toccato il fondo che, secondo l’autore di questo
racconto-cronaca, ha dato una scossa, ha provocato la reazione che ha
portato allo sviluppo che si è conosciuto nei successivi “mitici anni venti”.
Non è ben chiaro come, ma si ha l’impressione che questo raccontastorie degli
anni trenta, sia uno che in qualche modo ha contribuito (o ritiene d’aver
contribuito!) alla ripresa d’allora. Anche se fosse millantato credito, la
pubblicazione del suo diario-racconto sugli anni venti, si presta ad alcune
riflessioni che forse aiuteranno a superare anche la crisi in atto negli anni
Cinquanta.
E’ proprio vero che a Tolmezzo le crisi sono cicliche!
Cap.
1 - LA PRO
CARNIA.
Come ho già avuto modo di anticipare, quel fatidico 2015 il Destino non aveva
lesinato con le disgrazie per Tolmezzo. Si può ben dire che il cielo aveva
grandinato disgrazie. Come succede con la grandine nei campi, non solo s’era
perso il raccolto esistente, ma s’era fatta terra bruciata. Non c’era chi
riuscisse a farsi venire una idea su come reagire, su cosa inventarsi di
nuovo.
Quando non si è in grado di nutrire speranze ci si rifugia nei ricordi e nella
nostalgia. Fu così che l’unica idea che riuscì a emergere fu quella di tornare
al passato. I Comunisti sono abituati a vivere del mito della Resistenza, hanno
fatto della Repubblica Partigiana della Carnia il loro epinicio. Pasquale che
ha il vantaggio di venire dal Sud, da insegnante di storia, ha fatto un
ulteriore salto all’indietro e ha scoperto che negli anni Trenta del Novecento,
la Carnia ha avuto un sussulto culturale e ha dato vita a un associazione
denominata “Pro Carnia”.
“Basta rifarsi a quella esperienza,” ha pensato, “e il gioco è fatto!”
Detto e fatto. Ha trovato un gruppo di vecchietti di varia estrazione politica,
che convinti dal suo entusiasmo, hanno fatto rinascere l’Associazione “Pro
Carnia”.
Arrivati alla costituzione il loro gesto ha ottenuto l’effetto desiderato.
Per caso, o per l’intelligenza dei cittadini, ad amministrare il Comune in
quell’anno c’era una Giunta di giovani, che sT sentì offesa dall’iniziativa dei
vecchietti.
Ma come? L’Associazione Pro Carnia metteva assieme dei giovani trentenni
desiderosi di confrontarsi per farsi venire delle idee innovative sul futuro
della Carnia! Vuoi che non siamo all’altezza di fare altrettanto! Vuoi che il
nostro futuro economico e sociale sia la risultante del passatempo nostalgico
di quattro pensionati!
Detto e fatto. Dall’assessore alla cultura del Comune di Tolmezzo è partita
subito l’idea non di una associazione (termine obsoleto!) ma, secondo la moda
del momento di un think tank (serbatoio
di pensiero in inglese) cioè di
un gruppo di lavoro tra i Presidenti di tutte le Associazioni che a vaio titolo
si interessano della politica economica e sociale della Carnia.
Da non credere! Il think tank è stato come una benefica scossa ad un corpo
sociale che si era lasciato prendere dal torpore, dalla malinconia, dal
pessimismo.
Il Think tank si è collocato nei locali dell’ex tribunale. Dal think tank è
nato un impact hub uno spazio di
ispirazione, di sharing ideas, di condivisione delle idee, un network tra
professionisti ed innovatori un spazio attrezzato per il coworking.
I locali in passato destinati all’amministrazione della giustizia, sono
diventati in breve la culla e il nido ove ha preso vita un nuovo modo di
pensare e di agire che è stato all’origine del boom economico e sociale vissuto
dalla Carnia nei “mitici anni venti”..
Cap.
2 - CINQUANTA ANNI DELLA BIBLIOTECA CIVICA.
Nel 2015 per riprendersi tra tanti disastri si è voluto ricordare che almeno la
Biblioteca non pare in crisi. Porta molto bene i suoi cinquanta anni. Anche
perché li ha utilizzati per crescere, per sistemarsi in locali adeguati.
Era una celebrazione che andava enfatizzata e che invece si è ridotta
all’incontro di quattro vecchietti nostalgici e ha suscitato una violenta presa
di posizione delle opposizioni in Consiglio Comunale.
Si dice che sia stato presentato un Odg che così reciterebbe.
La biblioteca è stata voluta e realizzata dal CUCC Circolo Universitario
Culturale Carnico. Celebrare i cinquanta anni non doveva ridursi ad una
bicchierata ma doveva essere il momento per ricordare che un tempo gli
universitari carnici (pochi allora!) avevano saputo mettersi assieme, produrre
delle pubblicazioni, allestire una biblioteca.
Se allora, perché non ora?
E’ stato così che l’Amministrazione Comunale ha deciso di ripetere la
celebrazione del Cinquantenario della nascita della Biblioteca Civica,
con un invito personale diretto a tutti gli attuali universitari carnici a
partecipare ad un convegno intitolato appunto “Se allora, perché non ora?” per
discutere quindi se e con quali nuovi obiettivi si potrebbe immaginare di
rifare il CUCC?”
Il sindaco ha introdotto il convegno sottolineando che il passato non chiede
d’essere celebrato, chiede d’essere tenuto in considerazione per poter
immaginare il futuro.
Cap.
3 - IL CINEMA PER LA CARNIA.
Secondo il gestore del bar Al Drago, il fatto emblematico a sottolineare che a
Tolmezzo nel 2015 s’era toccato il fondo, era stata la chiusura del Cinema
David. E’ vero che i disastri erano stati altri: la chiusura dopo 110
anni della Cooperativa, e dopo 150 del Tribunale. Tanto per ricordare i più
catastrofici! Ma secondo lui, la chiusura del Cinema era stata come la classica
goccia che fa travasare il vaso. “Che Tolmezzo, per tutta la Carnia, non riesca
a gestire neppure un Cinema è il colmo!” continuava a ripetere. Per non dar
peso alla cosa, qualcuno sosteneva che il Cinema aveva perso d’importanza. I
films si potevano vedere comodamente distesi nel salotto di casa, alla
Televisione o al Computer. Era vero! Ma che per vedersi un film in sala sullo
schermo gigante un carnico dovesse scendere fino a Gemona, era il colmo. Era un
altro segnale della perdita del ruolo di Tolmezzo al servizio della Carnia,
come suo Capoluogo!
Fatto marginale, se si vuole! Ma emblematico! E a volte i fatti emblematici
finiscono per avere più importanza di quanto ne abbiano nella realtà.
Se ne resero conto subito gli amministratori del tempo e misero mano alla
trasformazione del Teatro Comunale Candoni in un vero Cinema-Teatro,
dotato dei più moderni mezzi di proiezione.
Anche quando s’era iniziato a far teatro, negli anni 80 del Novecento, c’erano
state delle perplessità sul fatto che Tolmezzo potesse reggere una vera
stagione di prosa. Poi il sistema degli abbonamenti, un po’ alla volta aveva
creato l’abitudine. E’ avvenuta la stessa cosa per il Cinema. Di anno in anno,
l’abbonamento a una serie di films famosi, commentati a mo’ di cineforum,
alternati con le sorprese delle ultime novità, ha creato l’abitudine.
Nei mitici anni venti così, fra le altre cose, era diventato “di moda” in
Carnia andare al cinema una volta alla settimana. Si era anche creata
l’abitudine a prolungare i commenti al Bar, con la soddisfazione del gestore
del Bar al Drago, che in effetti s’era aspettato di trarre vantaggio dalle
critiche inizialmente rivolte all’Amministrazione.
“In Carnia non si fa nulla per nulla,” dicevano i vecchi del Novecento!
Ma già che c’erano, quegli amministratori previdenti, attrezzando il Candoni a
Cinema, pensarono bene di completare anche la gradinata esterna per farne uno
Spazio-giovani. Dato in gestione alla Associazione “I
Ventenni di Carnia” di anno in anno lo spazio-teatro all’aperto si affermò come
luogo di concerti, di dibattiti scanzonati, di cabaret, palestra per giovani
carnici amanti del fare musica e teatro.
Forse era stata proprio questo la chiave che aveva consentito la rinascita di
Tolmezzo in quei mitici anni venti: l’essere riusciti a coinvolgere
i giovani ventenni!!!
Cap.
4 -IL FILM “INCHIESTA IN CARNIA” di Dante Spinotti.
Qualcuno sostiene che il Rinascimento della
Carnia che si è concretizzato nei “mitici anni venti”, sia iniziato con il film
di Dante Spinotti, proiettato agli studenti delle scuole medie superiori l’11
gennaio del 1916. Un’affermazione azzardata perché la rinascita di un
territorio è il frutto di tanti fattori favorevolmente concorrenti. Ma anche un
grande fuoco è sempre il risultato d’una scintilla, e non è da escludere che la
scintilla sia stata la provocazione contenuta in quel film.
Pessimismo e vittimismo erano le stigmate della Carnia fino a quel momento.
Dante Spinotti era un carnico che aveva potuto vivere l’avventura di
vivere il mondo, finendo a fare il direttore della fotografia, senza mai
dimenticare le sue radici carniche. Anzi senza mai smettere l’orgoglio
per quelle radici. Quasi a testimoniare la gratitudine per ciò che gli era
venuto dalla terra delle sue origini, ha voluto in un film, provocarne la
reazione. Dare la scossa per la rianimazione!... E’ nato così “inchiesta in
Carnia” un film nel quale le affermazioni degli intervistati si mescolano a
splendide e suggestive immagini della Carnia. Dalle interviste, Dante ha
estrapolato prevalentemente affermazioni ottimistiche, cariche di speranza e di
fiducia nel futuro della Carnia. Ha demolito così il mito di una Carnia con
l’handicap della perifericità, sconfessato il rito delle lamentazioni
sulla marginalità. Al contrario, ha presentato il quadro di una terra carica di
opportunità da cogliere. Nella quale si può scegliere di vivere. Nella quale si
può condurre una vita piena di gratificazioni, unendo le soddisfazioni
che possono derivare da un lavoro all’altezza dell’impegno profuso nello
studio, a quelle che vengono dal saper vivere l’emozione del rapporto con un
ambiente e una natura carichi di fascino.
Centrale la testimonianza della professoressa Compagno originaria di Rigolato,
diventata Magnifico Rettore dell’Università di Udine che ha rivendicato
una sorta di superiorità antropologica dell’uomo carnico rispetto al
friulano, dell’uomo di montagna rispetto a quello di pianura. A condizione
tuttavia che, chi vive in Carnia, sappia interpretare come vantaggio
competitivo, la diversità del suo essere, come si è venuta realizzando e
definendo, nel confronto con la diversità dell’ambiente.
Il messaggio di saper trasformare in vantaggio competitivo la diversità, è
stato subito colto dalle scuole. Il film, ridotto in DVD, è stato portato in
visione con un progetto della Comunità Montagna in tutte le classi delle scuole
medie superiori e discusso appassionatamente. Spesso con polemiche accese.
Il progetto della Comunità Montana ha fatto sì che il “futuro della
Carnia” diventasse il tema culturale di fondo delle scuole in Carnia. Ha
portato ogni alunno a criticare ciò che manca. Ma soprattutto a valutare,
alla luce anche della storia, un suo possibile ruolo da giocare in positivo,
per sé e per il territorio. Partendo dalla discussione sul
film i ragazzi hanno capito come ognuno può contribuire, mettendo
in campo il proprio spirito di intrapresa, a realizzare lo sviluppo del
territorio che gli ha dato i natali, mentre realizza le proprie aspirazioni
personali, giocando al meglio i propri talenti.
Si può discutere, se sia bastato Il film “Inchiesta in Carnia” a innescare la
rivoluzione culturale, diventata negli anni successivi la rivoluzione
economica e sociale che ha segnato i “mitici anni venti”, ma che il film abbia
avuto il ruolo d’una scintilla per lo scatenarsi di un incendio è fuor di
dubbio.
Cap.
5 - POMERIGGI DI FESTA.
Si discute ancora su chi abbia titolo a vantare la paternità dell’idea. Secondo
alcuni, tra un bicchiere e l’altro, immerso nell’antro del suo locale, è venuta
ad Alfio del Borgat. Io preferisco schierarmi con quelli che ritengono sia
venuta al sacrestano della Chiesa di Santa Caterina, stanco di vedere la sua
bella chiesa riservata alle funzioni del Santo Rosario prefunerario. A me
ha detto d’essersi ispirato alla tradizione. S’è rifatto a quando la gente
usciva di casa al pomeriggio per partecipare alle funzioni del Vespero, e
infatti avrebbe voluto dare all’iniziativa il titolo di Vesperi
Tolmezzini. Ma poco importa chi l’abbia avuta, e meno ancora che poi
abbia preso il nome, meno evocativo, di “Domenica Pomeriggio a Tolmezzo”.
Straordinario il fatto che a Tolmezzo abbia avuto successo. Dopo tanti anni nei
quali non s’era riusciti ad andare oltre un malinconica festa della mela.
L’idea era semplice. Ogni domenica la montagna carnica è invasa, sia d’inverno
che d’estate da turbe di turisti. Basta trovare il modo di fermarli al rientro
la sera. Ed è fatta. Basta trovare il modo di suscitare un interesse che li
convinca ad abbandonare la tangenziale ed entrare in città. Via Roma, Via
Ermacora, che sono già a senso unico ascendente, al pomeriggio d’ogni domenica
possono essere chiuse al traffico senza creare alcun problema. Il grande
traffico è in discesa. Nel salotto di Tolmezzo costituito da queste due strade
e da parte della piazza si può allestire qualcosa che dia un ultimo tocco alla
festa che i turisti hanno trascorso ammirando la Carnia. Un digestivo di
qualità che valorizzi la scorpacciata di panorami suggestivi di
profumi e colori di Carnia che i turisti hanno fatto durante il giorno, a
primavera, d’estate e d’autunno. Una chiusura adeguata per la poesia vissuta
d’inverno nell’incanto delle nevi dello Zoncolan o di Forni di Sopra
Si è iniziato con poco: i bar ed i negozi tutti aperti. Una orchestrina in
Piazza per i giovani, un concerto in Santa Caterina per gli Anziani,
intrattenimenti per i bambini nel parcheggio. Ma quel poco ha cominciato a
portare gente e si è creato un circolo virtuoso che ha portato alla realtà
attuale che tutti ci invidiano. A Tolmezzo si tengono 52 feste all’anno, con
una grande partecipazione di tolmezzini, di carnici e soprattutto di turisti da
tutta la Regione e dalle Regioni contermini.
Le due vie del centro storico sono diventate un vero salotto con tanti
piccoli negozi trasformati in vere boutiques: la macelleria della carne di
montagna, la formaggeria dei prodotti che tanti piccoli produttori carnici
hanno preso ad inventarsi, i prodotti dell’artigianato artistico. Eccetera
Eccetera, ma tutto a livello di nicchia di alta qualità... L’arredo urbano si è
adeguato, gli archi dei sottoportici sono diventati un rincorrersi originale di
luci e suoni. Si sono aperte delle osterie caratteristiche all’insegna del buon
bere, dei locali arredati con gusto ove, con ancora più gusto, gustare i piatti
tipici della Carnia, reinventati con grande fantasia. I complessi musicali
fanno a gara per potersi esibire nella festa. Non manca la cultura a Palazzo
Frisacco, al Museo Carnico e nella Chiesa di Santa Caterina trasformata in una
vera sala per concerti.
All’Unione Europea è stato presentato un progetto sulla valorizzazione
del vivere in montagna che ha ottenuto grandi consensi e consistenti
finanziamenti per l’adeguamento dell’arredo urbano, dei locali privati, e per
la gestione della manifestazione.
Dopo cinque anni non c’è turista che venga in Carnia la domenica che non sappia
che al pomeriggio c’è festa a Tolmezzo, che non provi il desiderio di lasciarsi
coinvolgere dall’originalità di questa festa. Il fatto poi d’ave visto la città
in festa induce i turisti a tornare, con una positiva ricaduta sul commercio ma
anche sul modo di vivere, sulla felicità degli abitanti.
A ricordarlo comunque ci sono due enormi cartelloni luminosi posti all’entrata
a Tolmezzo da Villa Santina e da Arta Terme. Per non farci mancare un tocco di
innovazione tecnologica, i cartelloni, con la georeferenziazione d’ogni posto
macchina sono in grado di informare il turista su quali siano i parcheggi
liberi a disposizione.
Cap.
6 - Pro Carnia/Assieme si può.
I quattro vecchietti che avevano riesumato l’Associazione “Pro Carnia”, nel
2016, continuavano a provocare, sfidando i giovani a dimostrare che cosa
sapessero fare. “Giovani e vecchi,” ripetevano in continuazione,”non si
distinguono in base all’anagrafe, ma perché i primi guardano avanti i secondi
guardano indietro”. A sentire i discorsi in giro pareva che il mondo fosse
finito a gambe all’aria: erano i vecchi a pensare al futuro, mentre i giovani
si crogiolavano ricordando il passato!...
Finchè, stanchi di sentire gli sfottò dei vecchi, nei giovani è scattata
la scintilla dell’innovazione e si sono dati da fare per riproporre in forme
nuove l’idea della “Pro Carnia”. Non si era trattato, negli anni trenta, di una
qualsiasi associazione culturale: era una associazione di gente disposta a
fare, oltre che a pensare. Tant’è che, un po’ per far cassa, un po’ per dare un
servizio aveva preso in gestione addirittura la biglietteria della Ferrovia
Carnia-VillaSantina.
Per darsi un tono, in un primo momento i giovani avevano pensato di dar vita a
qualcosa sotto il motto “I have dream”, poi ripiegarono su un più
comprensibile “Assieme si può”. Sotto questa insegna ogni primo venerdì del
mese la sala del Consiglio Comunale di Tolmezzo diventava una sorta di
“camera delle associazioni”. Qualcuno obiettò che il termine aveva qualcosa di
fascista e così si finì per definire la riunione mensile “Rete delle
Associazioni”. Al di là dei termini, l’innovazione stava nel fatto che venivano
convocati assieme i consigli direttivi di tutte le associazioni operanti
sul territorio: Lyons, Rotary, Fidapa, ma anche Associazione commercianti,
artigiani agricoltori, assieme ai commercialisti, avvocati, notai, oltre al
Cai, agli Alpini, alla Pro Loco e a ogni altro gruppo in grado di
sviluppare in loco qualche iniziativa.
Il tema degli incontri, veniva posto dal Sindaco, in una concreta applicazione
della democrazia partecipativa, non come richiesta di suggerimenti
all’Amministrazione Comunale, ma come richiesta di “Che cosa ognuno di noi,
come singolo e come associazione, può fare, per fare uscire Tolmezzo da questa
“morta gora” nella quale è lentamente è scivolato negli ultimi decenni”. Dopo
le schermaglie iniziali, sul tema “s’arrangi chi è stato eletto” alla fine
hanno preso ad emergere proposte concrete, nuove idee e nuove
disponibilità a fare.
Un pizzico di suspense non guasta, e quindi si rimanda ad un prossimo capitolo
per sapere, quali sono state queste idee e questi coinvolgimenti che in breve
sono riusciti ad innestare la ripresa che ha portato ai “mitici anni venti”.
Cap.
7 – L’energia per la ripresa della Carnia.
Naturalmente la ripresa sul piano culturale ha avuto
come premessa un risveglio sul piano economico. Si discusse molto se lo
sviluppo economico fosse stato premessa dello sviluppo culturale, e se ne sta
discutendo ancora. Ma non è il caso di lasciarsi trascinare in una discussione
accademica sull’uovo e sulla gallina. Il dato storico è che ci fu una vigorosa
ripresa economica e che tutto partì a seguito d’una iniziativa sull’energia.
I quattro vecchietti di cui s’è già detto s’erano messi in testa di organizzare
un convegno sul tema “l’energia per la Carnia”. “Aria fritta!” hanno esclamato
in coro i 28 giovani sindaci della Carnia. “E’ ora di finirla di sciacquarci la
bocca con le solite litanie. Gliela facciamo vedere noi a questi reduci, dimostrando
loro come le nuove generazioni sanno passare dalle parole ai fatti.”
Era l’anno nel quale papa Francesco I° aveva indetto il Giubileo della
Misericordia. Un anno segnato da molti miracoli, fra cui, non ultimo questo dei
“carnici per una volta uniti”.
In un capitolo successivo si tornerà sul fatto per spiegare nel dettaglio come
si concretizzò. Qui val la pena di riportare il successo del risultato. In poco
meno di un anno si formò una cooperativa per la produzione ed il consumo
dell’energia elettrica! L’idea non era nuova. Bastava immaginare di portare a
livello di tutta la Carnia, ciò che la cooperativa Secab stava facendo in Alto
But. Facile a dirsi! Tant’è, che i vecchietti del convegno, ci avevano provato
più volte. Senza successo. E invece nel 2016 anche la Carnia ebbe il suo
miracolo della misericordia.
La Comunità Montana si sciolse conferendo le sue centraline alla Cooperativa
Elettrica Carnica, alla quale aderirono, conferendo i loro impianti tutti gli
altri privati e la Secab. Non solo. Si trovò l’accordo anche con Italia Nostra,
per lo sfruttamento da parte della nuova cooperativa di tutte le derivazioni
ancora utilizzabili. Anche i fanatici dell’ambiente si resero conto che si
doveva privilegiare il ripopolamento della gente nei paesi, rispetto al
ripopolamento delle trote nei torrenti!
Comunque, ripeto, sui dettagli tornerò in seguito. Si realizzarono nuovi
impianti a pannelli solari, si trasformarono in centraline elettriche tutti gli
acquedotti. Insomma, si raggiunse, l’autosufficienza energetica. La gestione
del sistema fu data ai soci privati della cooperativa, garantendo l’efficienza.
Con la mediazione della Regione si raggiunse un accordo con la Terna
proprietaria delle linee elettriche. Non so come. Ma so che non meno di
diecimila famiglie della Carnia, aderirono come soci della nuova Cooperativa.
(che si guardò bene dal chiedere prestiti ai soci!). Fu così che in tutte le
famiglie della Carnia si prese a pagare l’energia elettrica a meno del 50% del
prezzo di mercato. Ma il risparmio sull’energia divenne un moltiplicatore di
altri risparmi di cui parlerò nei capitolo seguenti, come quello derivato dal
trasporto pubblico in pooling, usando auto elettriche.
Cap.
8 – Satira o racconto?
Un tale, uno dei pochi cui era capitato di leggere, seppure svogliatamente,
quanto andavo scrivendo su “I mitici anni venti”, se l’è presa con me dicendomi
“Cavolate! Questa non è satira, ma connivenza”. Da quel che poi mi ha aggiunto
ho capito che confondeva la satira, con l’ironia. Gli ho spiegato che la mia
poteva considerarsi satira se, con tale nome, s’intende un componimento con un’
attenzione critica particolare alla politica e alla società “mostrandone le
contraddizioni per promuoverne il cambiamento”. Comunque, sì, ha ragione lui
quando dice che “più che satire i miei sono racconti fantastici”. In effetti
per il genere intendo richiamarmi alle satire del poeta latino Orazio, che
intitolava le sue satire “sermones” cioè discorsi e le concepiva come
riflessioni sulla società del suo tempo. Come lui, anche le mie riflessioni a
“piede libero”, inciampando nel porfido sconnesso, immaginando per il mio paese
un futuro che immagino possibile, fantasticando prospettive che mi auguro si
possano avverare. E tra un inciampo ed una riflessione, mi va pure di
importunare il computer, digitandogli ciò che mi passa per la testa. Finiti i
tempi della carta, or si digita al mondo. Non si sa bene a chi. Non si può
infatti prevedere chi, a caso, finirà per leggere, ciò che si è digitato.
Ma il digitare parole ha un senso in sé, permette infatti di scaricare pensieri
che mantenuti in sito, farebbero irritare il colon.
Cap.
9 - Tolmezzo Wi Fi Free.
Dopo anni di inutili discussioni su come fare in modo
che tutti i cittadini potessero disporre della banda larga, alla fine, a
Tolmezzo hanno preso il coraggio a due mani, e d’intesa con l’Ascom locale e la
Camera di Commercio, hanno deciso, come si suol dire, di fare il salto della
quaglia.
Superando il progetto della rete urbana, già predisposto da amministrazioni
precedenti, che avrebbe consentito anche ai cittadini delle frazioni di
connettersi a pagamento, hanno deciso di lanciare il progetto Tolmezzo WiFi
Free. Si è quindi realizzata una rete di hot spot che copre sia il capoluogo
che le frazioni in modo da permettere di ottenere connettività gratuita in
banda larga a tutti i cittadini in possesso d’un dispositivo in grado di
connettersi. La connettività è libera e gratuita 24 ore su 24, con l’obbligo di
identificarsi al momento dell’accesso. La rete tolmezzina aderisce alla rete
federata nazionale “FreeItalia WiFi”. Ci si può quindi collegare gratis e
navigare in internet, dalle panchine dei parchi e dalle sedie dei bar,
piuttosto che dai prati di Pra Castello o mentre si attende la corriera.
“Ma non basta dare ai cittadini uno strumento, anche se avanzato, se poi non si
diffonde l’utilizzo,” hanno pensato giustamente gli avveduti amministratori.
Per questo, si sono organizzati degli incontri, nei quartieri e nelle frazioni,
per spiegare le possibilità di conoscenza e di intrattenimento interattivo che
sono consentite da internet. Non corsi per l’uso del computer, ma incontri per
spiegare, soprattutto agli anziani il facile utilizzo del computer, come porta
di accesso a internet, per utilizzare Skype, Google ecc.
E’ stato anche lanciato un bando per i ragazzi delle scuole medie superiori,
alla ricerca di idee e suggerimenti su come il Free WiFi, può diventare uno
strumento per fare di Tolmezzo una Smart City, con risultati brillanti che si
andranno a raccontare nei prossimi capitoli.
Cap.
10 – Carnia Future Forum.
Si discusse molto (e tra gli storici della Resistenza si discute ancora!) su
quale sia stata la scintilla da cui è partito il fuoco sacro che ha cambiato
culturalmente la Carnia, consentendo la formazione del clima di entusiasmo che
ha portato al magico rinascimento de “I mitici anni venti”.
I quattro vecchietti che avevano costituito la “Pro Carnia” sostenevano che il
merito era loro, perché avevano avuto l’idea del progetto Carnia Future Forum.
Non era poi un’ idea così nuova. Anzi era proprio, anche nel nome, un “copia
incolla” dell’iniziativa che la Camera di Commercio aveva fatto a livello
provinciale. Ma saper copiare è segno di massima intelligenza! Si assunse il
tema: immaginiamo come vorremmo la Carnia tra cinque anni e di conseguenza
pensiamo a cosa s’ha da fare perché si ottenga il risultato immaginato.
Su questa idea è stato elaborato il progetto di Carnia Future Forum. Presentato
alla Comuità montana ha ottenuto un immediato finanziamento. (Forse era la
prima volta che il surplus di entrate derivanti alla Comunità Montana, dalle
idee di quando “i vecchietti” erano ancora nell’agone politico, veniva
utilizzato per creare sviluppo, e non per gonfiare inutilmente l’organico del
personale!).
Si trattava d’un progetto di animazione culturale in due fasi. La premessa era
che “il risveglio” non poteva che partire sul piano culturale, dal ricreare nei
giovani un interesse per lo sviluppo del LORO territorio, da un recupero del
valore della loro identità di CARNICI.
La prima fase prevedeva un audit per mettere in luce le cause del problema,
individuato nel fatto che, malgrado il forte incremento del tasso di
scolarizzazione, nei primi anni del duemila, si fosse assistito ad uno
spaventoso calo dal punto di vista culturale. Intendendo per cultura
l’interesse che una persona ha nei confronti dello sviluppo della comunità
nella quale vive ed opera. Il progetto prevedeva di incaricare come auditor
l’esperto che aveva gestito per la Camera di Commercio Friuli Future Forum, che
(guarda caso!) era un carnico.
Non ci volle molto a capire che buona parte della colpa era proprio della
generazione de “i vecchietti” che aveva lasciato alla successiva non una storia
ma un mito. (sic!)
La seconda fase del progetto prevedeva due interventi di animazione culturale
collegati, aventi come “facilitatore” l’auditor con lo staff che s’era creato.
Da un lato si intervenne nelle scuole, obbligando insegnanti ed alunni a
confrontarsi, dalle elementari ai licei, sul tema “la Carnia che vorrei”,
dall’altro ci si mosse sulle associazioni d’ogni tipo, comprese le pro loco,
sul tema del “che fare” e del “chi fa che cosa”. Il collegamento si realizzò
nel fatto che gli studenti rientrarono in gioco nel secondo intervento come
abitanti dei vari paesi.
Sarà stato anche un fatto secondario ma si diffusero le iniziative di “i nipoti
insegnano ai nonni” collegate alla necessità di far diventare un valore
aggiunto l’utilizzo del Wi Fi, portato gratuitamente in tutte le case. Il loop
“nonni e nipoti e viceversa” divenne un brand, attorno al quale si sviluppò
tutto ciò che andrò a raccontare in un prossimo capitolo.
11
– Dalle stelle alle stalle.
Non è che tutto andasse per il verso giusto anche in quel 2016 quando
iniziò la risalita verso i Mitici anni venti. Proprio la sera del 19
febbraio nella quale i vecchietti discutevano della Carnia Future Forum,
Il direttore de “Il Messaggero Veneto” autorizzava la stampa d’una lettera che
gli era pervenuta da parte di tal Alcide Catarinussi. Si lamentavano le
condizioni dei servizi igienici dell’autostazione. Ai vecchietti si rizzarono i
pochi capelli rimasti. Ma come una Comunità piena di soldi da centraline, non
trova il modo neppure di sistemare i cessi dell’autostazione? Che pessimo esempio
per tutti gli studenti della Carnia! Che brutto biglietto di ingresso per i
turisti che arrivano in corriera! Eppure la Comunità è stata affidata a un
commissario con i poteri di decidere senza sentire Consigli o Assemblee. Si
lamenta che in cessi in buona parte sono cronicamente chiusi. Non sono state
appaltate le pulizie? Manca la carta igienica. Dobbiamo accollarci una colletta
all’uopo? Che “indecorosa situazione”, come scrive Alcide!
Per fortuna la Comunità stava esalando gli ultimi singulti, prima di morire
senza lasciare rimpianti. Se non in quei quattro vecchietti che ricordavano i
bei tempi, Quando in una Comunità con 119 delegati, si riusciva a discutere di
tutto. E ci si impegnava anche per lo sviluppo economico, realizzando centraline,
capannoni, mercati aste bovine, impianti smaltimento rifiuti. Tutto in un
pietoso sfacelo!
Per fortuna alla Comunità si è sostituita l’UTI della Carnia. Che le cose erano
cambiate lo si è potuto vedere proprio a partire dai cessi dell’autostazione.
Ampliati, sistemati, abbelliti, con un servizio di pulizia permanente da fare
invidia a quello degli Autogrill sulle Autostrade. Con un impianto di
telecamere appendice dell’impianto di videosorveglianza installato in tutta
l’Autostazione. E’ proprio vero che con i cambiamenti si deve partire dal
basso!
12
- Dal terremoto l’idea della rinascita.
Una spinta decisiva per il decollo dei Mitici Anni
Venti a Tolmezzo, è stata una ritrovata intesa con Gemona che ha portato a
parlare di Mitici Anni Venti per l’AltoFriuli.
Nel 2016 correva il quarantesimo anniversario del terremoto che aveva distrutto
il Medio Friuli il 6 maggio 1976. La Regione pensò ad una celebrazione
all’insegna del “quanto è bravo questo popolo friulano!”. Nell’Alto Friuli che
comprende quella che era stata considerata la capitale del terremoto,
l’entusiasmo celebrativo si spense subito nella considerazione che, a ben
guardare, c’era ben poco da celebrare visto che era in corso lo smantellamento
di quanto aveva caratterizzato la ricostruzione. La Carnia aveva perso il
Tribunale, la Coop.Ca, le Caserme, Gemona, per effetto della riforma sanitaria
regionale stava perdendo l’ospedale. Forse anche Gemona, per la prima volta, si
rendeva conto che non sarebbe stata il naturale piede della frana che stava
investendo la montagna. Come dimostrava la stato di agonia dell’ospedale la
frana avrebbe coinvolto tutto l’Alto Friuli, a lungo andare, a solo vantaggio
di Udine.
Fu dall’analisi di quanto stava succedendo per effetto della riforma sanitaria
che scattò la reazione. Il non aver trovato un’ intesa bipolare tra Gemona e
Tolmezzo, si capiva ormai che aveva innescato una frana nella sanità, che
spostava il baricentro del sistema sanitario su SanDaniele, con un danno
immediato per Gemona ed in prospettiva per Tolmezzo e l’intera montagna.
I processi economici e sociali non si arrestano, vanno invertiti. Su questo
presupposto tra Gemona e Tolmezzo si riprese a parlare di Alto Friuli, Non per
farne una istituzione senza poteri per incidere sugli sviluppi
economico-sociale, come sarebbe stata la Provincia che avrebbero voluto i
promotori del referendum, ma per farne un sistema economico e sociale basato
sull’Asse Gemona-Tolmezzo.
La riforma dei Consorzi Industriali si era conclusa inglobando il Gemonese su
Udine, lasciando autonoma la Carnia con il Cosilt. Due paradossi in uno perché
la Carnia è sottodimensionata per un Consorzio Industriale, facendo slittare il
Medio Friuli su Udine si crea un mega Consorzio, talmente articolato sul
territorio, da non aver alcuna possibilità di programmazione progettuale. Da
qui l’idea di rivedere il tutto sulla considerazione che le zone industriali di
Amaro e Osoppo possono essere considerate contermini perché collegate da 10
minuti di autostrada. Da qui l’idea d’un Consorzio industriale dell’Alto
Friuli. Da qui l’idea di inglobare e fondere Innova Fvg, facendo diventare il
Consorzio un centro per l’innovazione tecnologica, incubatore per la nascita di
nuove imprese.
Da qui l’idea che per fare il sistema Alto Friuli si doveva prima di
tutto attivare le connessioni. Un investimento massiccio sulla banda larga, ma
anche la ripresa di collegamenti fisici. Si è ottenuto che Amaro-Gemona
sia un tratto di autostrada che si percorre gratuitamente. I due centri sono
collegati tra loro da autobus diretti via autostrada. Diventano così collegati,
con distanze di soli venti minuti, i due ospedali ed i due centri scolastici.
Dall’economico al sociale. Unificate le due aree industriali si è passati a
rivedere la riforma sanitaria, puntando sui collegamenti sia dal punto di vista
sanitario che degli utenti. Non è stato facile perché in passato si erano
commessi errori che ancora bruciavano. Ma alla fine si è capito che l’Unione fa
la forza, è nato così un Centro Sanitario bipolare capace di unire la qualità
umana dell’assistenza dei piccoli ospedali, con un’alta specializzazione delle
prestazioni. Per questo capace di attrarre utenza da tutto il Medio Friuli.
Gemona è diventato un centro specializzato a livello regionale in urologia per
la chirurgia e in diabetologia per la medicina.
Il modello è stato poi trasferito al sistema scolastico. Si è capito che ci si
poteva porre in alternativa a Udine con scuole ad altissima specializzazione ma
non sovradimensionate. Gemona e Tolmezzo si sono divisi gli indirizzi e in
breve sono riusciti a fare dei centri scolastici di eccellenza, collegati tra
loro dall’autobus autostradale. Rivedendo il sistema dei trasporti del Medio
Friuli, puntandolo su Gemona e non solo su Udine, si è ottenuto che anche
il Centro scolastico diventasse polo di attrazione per il Tarcentino e il
Sandanielese.
Una volta decollata l’idea del sistema sull’Asse Gemona Tolmezzo, si è riusciti
a declinarla anche in ambiti nei quali sembrava impossibile la collaborazione,
come quello turistico o dell’agroalimentare. La forza di questa Asse con
l’appendice del Tarvisiano si è dimostrata vincente soprattutto a favore della montagna.
Le aree interne infatti sono vivibili se sono il retroterra d’un territorio
vivo e dinamico. Isolate, non possono avere altro che la forza di piangere.
La classica ciliegina sulla torta è stata infine la costituzione
dell’Associazione tra le tre UTI dell’Alto Friuli sotto il nome di Comunità
montana delle alpi e prealpi giulio carniche. Non è stato facile, come non era
stato facile arrivare alla costituzione delle Uti. Ma alla fine è prevalsa
l’idea che se compito dei Comuni non è solo quello di gestire l’anagrafe, le
strade e l’edilizia privata, ma quello di partecipare attivamente allo sviluppo
economico e sociale del territorio, questa prospettiva non poteva che
realizzarsi nella dimensione territoriale dell’Alto Friuli, con positive
ricadute anche sui Comuni più periferici.
Si è costituito un organismo snello gestito dai tre Presidenti delle Uti, con
il compito di coordinare le politiche di sviluppo e quindi di scegliere e
controllare nella loro attività le terne proposte per l’amministrazione di
tutti i Consorzi locali, da quello industriale a quello turistico, del bosco,
dell’agroalimentare et via di seguito.
La Comunità si è assunta il compito
primario di gestire l’assistenza, e l’fa fatto con criteri assolutamente
innovativo L’asilo nido diffuso e la Casa di riposo aperta. Tre asili nido
collegati con una rete di Tagesmutter collegati in rete per dare il servizio
anche nei paesi più periferici. Le case di riposo aperte per dare assistenza,
con un continuo monitoraggio, alle persone anziane che non volevano e potevano
restare nelle proprie case. Nulla di eccezionale, si dirà. Ma sta di fatto
l’Alto Friuli è diventato meta per studiosi e delegazioni dalle altre
Regioni d'Italia che venivano a studiare il modello di assistenza socio
sanitaria.
Cap. 13 – La Carnia si spopola.
C’era a quei tempi un giornale che
dopo aver fatto un egregio lavoro con i friulani, al loro fianco per animarli nella non facile opera di
ricostruzione e di ripresa economica e sociale dopo il terremoto, s’era messo a
fare il menagramo. Con la Carnia in particolare!
Il 30 agosto del 2016 era uscito con
un paginone un paginone, (quasi un inserto) intitolato
Carnia in crisi, sottotitolo: qui serve il lavoro.
Era da un po’ di tempo,
almeno dalla crisi della Coop.Ca in poi, che il Messaggero Veneto ci metteva
nel parlare della Carnia lo stesso
impegno che l’aveva da sempre distinto come il giornale delle necrologie!
“Basta! Che porta sfiga! “ aveva imprecato qualcuno.
L’assunto dell’articolo era che la Carnia perde abitanti perché manca lavoro. Qualcuno gli ha replicato su Faceboock.
“Basta! Che porta sfiga! “ aveva imprecato qualcuno.
L’assunto dell’articolo era che la Carnia perde abitanti perché manca lavoro. Qualcuno gli ha replicato su Faceboock.
Perché il giornale non lancia una
inchiesta giornalistica per verificare quanti occupati in Carnia vengono dal
Friuli? Con una domanda aggiuntiva, per sapere quante sono le persone che pur
avendo il lavoro in Carnia hanno messo su casa in Friuli e fanno in pendolari
in salita? Si arriverebbe probabilmente alla conclusione che il problema non è
tanto la mancanza di lavoro, quanto il rifiuto culturale del vivere in
periferia, nella montagna emarginata. E’ anche un problema di costi, perché se
hai dei figli scendi vicino alle scuole, ancora meglio se c’è l’Università.
Scendi per ridurre il costo dei trasporti, del riscaldamento. Per avvicinarti
ai servizi. Una seria politica per la montagna dovrebbe intervenire per
abbattere questi costi per decentrare i servizi. Certo!
Resta comunque il problema culturale. Abitare in montagna è una scelta di vita che presuppone il saper apprezzare il vivere in montagna. Bilanciando i maggiori costi con i vantaggi anche economici che si possono legare al vivere in montagna: coltivare l’orto, farsi le legna, tenere gli animali da cortile, o addirittura integrando il reddito con la gestione di un B&B..
Resta comunque il problema culturale. Abitare in montagna è una scelta di vita che presuppone il saper apprezzare il vivere in montagna. Bilanciando i maggiori costi con i vantaggi anche economici che si possono legare al vivere in montagna: coltivare l’orto, farsi le legna, tenere gli animali da cortile, o addirittura integrando il reddito con la gestione di un B&B..
Chi non ha alcun interesse
per i panorami, i boschi, le rocce, le camminate, e men che meno per zappare la
terra, ma preferisce i dopolavoro in pantofole davanti alla televisione, perché
dovrebbe scegliere il disagio di continuare a risalire ogni sera la montagna?
Molto meglio un appartamento in Friuli. Anche per un questione di oculatezza
negli investimenti! Chi si fa la casa a Timau, sa che appena l’ha finita vale
meno della metà di quanto gli è costata. Chi invece si fa la villa a Moruzzo,
sa d’aver fatto un investimento che si rivaluta nel tempo.
Per questo ritengo che il problema dello spopolamento della Carnia non sia tanto un problema di mancanza di posti di lavoro, quanto un problema culturale. L’inversione di tendenza presuppone una rivoluzione culturale che deve partire dalle scuole. Nell’inchiesta di cui sopra il giornale provi a chiedere quale è la cultura del territorio che si inculca negli Istituti superiori della Carnia. Se dovesse scoprire che si insegna a vivere la montagna come una maledizione, dalla quale è opportuno liberarsi appena possibile, troverebbe una spiegazione più plausibile alla fuga ancora in atto dalla Carnia, malgrado non manchi il lavoro, o non manchi più che da altre parti.
Per questo ritengo che il problema dello spopolamento della Carnia non sia tanto un problema di mancanza di posti di lavoro, quanto un problema culturale. L’inversione di tendenza presuppone una rivoluzione culturale che deve partire dalle scuole. Nell’inchiesta di cui sopra il giornale provi a chiedere quale è la cultura del territorio che si inculca negli Istituti superiori della Carnia. Se dovesse scoprire che si insegna a vivere la montagna come una maledizione, dalla quale è opportuno liberarsi appena possibile, troverebbe una spiegazione più plausibile alla fuga ancora in atto dalla Carnia, malgrado non manchi il lavoro, o non manchi più che da altre parti.
Anche da questi interventi si capiva
molto bene che già nel 2016, la Carnia si stava radrizzando la schiena, per
riuscire a farsi carico dei problemi ereditati dalla precedente generazione, e
trasformarli in vantaggi competitivi per il rilancio che avrebbe portato ai
mitici anni venti.
Cap. 14 - Fatti
e Misfatti in Carnia.
Girava per Tolmezzo in quel fatidico 2016 uno
strano figuro: il classico rompiballe. Non pago dei danni fatti quando aveva
avuto l’opportunità di fare, s’era proposto di farne di nuovi con la scrittura, al declinare del giorno mortale,
nell’età in cui la natura riserva agli uomini solo la facoltà di parola. S’era
messo in testa di riscrivere la storia della Resistenza in Carnia. Sosteneva
addirittura che, a suo dire, non era mai stata scritta. Sostituita dalla storia
d’un mito. E i miti servono a distrarre, non a far pensare.
In questa sua crociata
demitizzatrice aveva valuto ripubblicare la ricostruzione della storia della
Resistenza fatta dal primo sindaco di Ovaro eletto nel dopoguerra, intitolata
Fatti e Misfatti in Carnia durante l’occupazione tedesca. Dopo una prima
presentazione in quel di Ovaro, aveva chiesto la saletta della biblioteca per
presentare il libro a Tolmezzo. Una saletta da diciassette posti per i suoi
diciassette lettori. L’assessore alla cultura del tempo, pur essendo uno dei
devoti del mito della Resistenza, illuminista al punto da ritenere che comunque
va rispettata e difesa la libertà anche di chi non la pensa come noi, rispose
alla grande. D’accordo con il Presidente della appena costituita Unione territoriale
intercomunale della Carnia, (nome
grondante poesia burocratica!), volle mettere a disposizione la sala
della defunta Comunità Carnica. Fu un enorme successo di pubblico. Tanta gente
in piedi. Insufficienti i duecento posti a sedere. E anche tanti libri venduti,
con la visibile soddisfazione dell’editore Aviani.
Con il rompiballe incalzato
dall’Assessore, sulle orme del sindaco di Ovaro Antonio Toppan, si è convenuto
sulla necessità di ripartire da una storia condivisa. Di primo acchito quella
sala piena, fece pensare a un caso. Poi si rivelò un evento che contribuirà non
poco al decollo della rinascita della Carnia nei mitici anni venti. Infatti,
sul piano pubblico come su quello individuale, è importante sapere da dove si proviene
per trovare la forza ed il coraggio per
andare dove si vuole andare. La storia è maestra di vita. Ma, appunto, si deve
cercare la verità della storia, quando si vuole serva alla verità della vita.
Il rompiballe ha ripetuto più volte
nel corso della presentazione come un mantra: “la storia insegna, il mito
distrae”. “Tanto distratti che abbiamo perso persino l’idea di dove vogliamo
andare”, ha commentato, suscitando i convinti applausi dai quali è partito il
movimento di rinascita culturale dei mitici anni venti.
15 – La Carnia
in “banda larga”.
I quattro vecchietti della “Pro
Carnia” se l’erano data come priorità assoluta, la banda larga! In una comunità
senza schiena come la Carnia del tempo, cosa si poteva pensare di riuscire a
cambiare? Eppure loro ci credevano! Vedevano la banda larga come l’impianto di
midollo osseo in un corpo malato. L’innesto di nuova vita: nuova linfa per la
società civile, nuova grinta e nuove idee al comparto economico.
E per una volta hanno avuto ragione.
L’inserimento
della rete a banda larga è diventata l’insperato collante capace di trasformare
la malattia dell’individualismo in un punto di forza: ha messo i carnici l’un
contro l’altro in gara a chi fa meglio, dopo anni di guerra l’un contro l’altro
armati a demolirsi a vicenda. Finalmente anche in Carnia, come in buona
parte del mondo si è preso a utilizzare
ed usufruire di Internet per lavorare, aprire nuove attività ed incrementare le
preesistenti, studiare, giocare, divertirsi, rimanere "connessi" con
il mondo e comunicare anche se in cima ad una montagna.
E’ partito così, addirittura
dall’UTI, (l’Ente che si credeva abortito ancor prima di nascere!) l’impulso al
telelavoro. Già alla fine del 1916 ha attivato una piattaforma per il
telelavoro, sperimentata con i propri dipendenti che non avevano problemi di
front office e messa a disposizione a titolo gratuito di professionisti,
piccoli imprenditori, quanti insomma fossero interessati a sperimentare i
vantaggi del telelavoro. Alcuni giovani hanno attivato delle start up in telelavoro.
A Runchia un centro di design. A Rinc un centro di progettazione informatica. A
Tarlessa, in alcuni chalets dismessi, una ricercatrice di rientro, ha attivato addirittura
un outsourcing del centro di calcolo
dell’Università di Cambridge.
Solo
a titolo di esempio. Perché non è il caso elenchi tutte le iniziative sorte
sulla piattaforma della UTI affidata in
gestione al Cosilt che ha assistito con consulenze e provvidenze regionali
l’avvio delle start up.
Il
comparto del turismo non ha voluto essere da meno. Dopo la scontata messa in
rete di tutte le informazioni e di tutte le offerte del Villaggio di nome
Carnia, si è passati ad applicazioni più sofisticate. I punti di interessi sono
diventati parlanti, resi più suggestivi con la realtà aumentata. E tutto in
rete! Sicchè il turista riusciva alla sera o nelle giornate di pioggia ad anticipare o ripassare le sue visite in
realtà virtuale. Ma le iniziative furono tante che certamente mi sto
dimenticando qualcosa!...
L’UTI
aveva preso in mano e ribaltato come un
calzino il programma Aree interne della defunta Comunità, giocandolo tutto
sulla banda larga. Teledidattica: sostituiti i libri di testo con computer e
tablet, doposcuola da casa in classi virtuali in un concetto di istruzione permanente,
anche per gli adulti, e gli universitari in collegamento con le aule
universitarie. Teleassistenza: le case delle persone singole dotate di sistemi
di presa in carico dell’utente sia come domotica che come supporto sanitario.
Telemedicina: gli infermieri di prossimità dotati di video sensori in grado di
portare virtualmente sul posto il servizio ospedaliero.
Eccezionale
poi il sistema di teletrasporto, in rete integrata su una piattaforma dell’Uti,
tra car-pooling e car -sharing con una flotta di auto elettriche pubbliche
ricaricate nei singoli paesi con l’energia elettrica ricavata dai locali
acquedotti. Il sistema di teletrasporto al servizio dell’e-commerce con la
spesa a domicilio, al servizio delle poste per un recapito puntuale a minori costi. Chi l’avrebbe mai detto!
Che
dire infine della rivoluzione introdotta nel comparto agricolo che ha fatto
della Carnia un modello a livello europeo per il programma Aree Interne? Le
mandrie in malga con il trasmettitore collegato in Gps che impedisce loro di
uscire dai confini del pascolo programmato. I pastori sostituiti dai droni con
telecamera. Le mucche che si fanno mungere a programma dalle mungitrici
automatiche. Rivoluzionata anche
l’agricoltura di paese. I prati sfalciati dalle falciatrici telematiche, come
già avveniva da tempo con tosaerba per i giardini di casa. Dotate di cingoli
per raggiungere anche le pendenze proibitive come facevano le donne del
Novecento, con i grifs sotto gli
scarpets. Robotizzati e telecomandati anche i ranghinatori e le piccole
imballatrici. La fienagione diventata lavoro da gestire da una console da
playstation. Che meraviglia!
E
sono solo esempi! Molto infatti non mi viene a memoria delle tante ricadute positive
che si sono avute a seguito della introduzione della banda larga, che ha fatto della Carnia un modello.
Capitolo - 16.
I Boschi come
risorsa.
Con il COSILT s’era definito un
rapporto per il quale il Consorzio per lo sviluppo economico diventava un Ente
strumentale della nuova UTI/Comunità Montana della Carnia. Restavano da
affrontare i settori economici non di competenza del Consorzio: il turismo,
l’agroalimentare e il bosco. Si partì da quest’ultimo per rispetto alla storia.
Il bosco è infatti come un libro nel quale si legge alla rovescia la storia
della montagna: avanza spavaldo, quando la gente si ritira. Fermarne
l’avanzata, è come dare alla gente il segnale che è in atto una ripresa. Si
iniziò ristrutturando l’esistente: il Consorzio Boschi Carnici e la Legno
Servizi. Il Consorzio era nato all’inizio del Novecento con l’idea lungimirante
di gestire assieme i boschi che s’era riservata per i propri utilizzi la
Repubblica Veneta. Ma molte idee,
lungimiranti quando nascono, diventano corto miranti nella gestione. Nel
caso del Consorzio c’era chi ne elogiava i risultati chi ne vedeva solo gli
aspetti problematici. Così, per tagliare la testa al toro, si decise lo
scioglimento del Consorzio e la restituzione ai Comuni dei boschi rientranti
nei territori comunali di competenza. Ma in coincidenza con lo scioglimento si fece
un’altra pensata lungimirante:
contestualmente si creò il Consorzio di gestione di tutti i boschi comunali e,
dopo le solite resistenze e incomprensioni, vi aderirono tutti i 28 Comuni. Si
unificò così la gestione del patrimonio boschivo di proprietà pubblica.
Con una pensata ancora più
lungimirante, a fianco si creò il Consorzio dei Boschi privati della Carnia.
Dopo un paio d’anni di discussioni, tutti i privati proprietari boschivi
capirono il vantaggio d’avere un ente al quale affidare la gestione, mantenendo
inalterati i diritti di proprietà e l’adesione fu totale.
Venne a costituirsi così un unico
ente gestore di tutto il patrimonio
boschivo della Carnia. Per la prima volta quindi la possibilità di programmare
tagli, manutenzione e reimpianti in una logica comprensoriale. Una società di
cervelli carnici (scarpe grosse e cervelli fini!) predispose un sistema
informatico telematico per il controllo del bosco, in grado di monitorare la
crescita delle piante, di accorgersi dei tagli abusivi, di catalogare persino i
nidi degli uccelli. Ma non basta! La società Meccatronica carnica, sulla base
delle esperienze svedesi, costruì un complesso macchinario robotizzato per il
taglio del bosco. Il bestione, su pattini e con un brevettato sistema
elettromagnetico di ancoraggio al terreno, era in grado di superare qualsiasi
tipo di pendenza. Tagliava tutto ciò che incontrava davanti a sé, per una
fascia larga trenta metri e ingurgitava tutto il tagliato, alberi e cespugli,
per vomitare da dietro tronchi su misura già scortecciati e sacchi di cippato,
come fossero balle di fieno. La seguiva un altro robot da carico che
raccoglieva i tronchi ed i sacchi, e un terzo infine che reimpiantava fino a
dieci piantine al colpo.
Contestualmente la LegnoServizi divenne la società con il compito di
realizzare in loco il valore aggiunto della filiera del legno. Dalla Carnia non
uscì più il legname in tronchi, ma soltanto legname trasformato. In una prima
trasformazione, come tavolame o legno da opera. O in ulteriori trasformazioni,
come energia da biomassa o bioetanolo, e in tutto ciò che la fantasia degli
artigiani del settore, opportunamente stimolati e adeguatamente animati, riuscì
ad inventarsi.
Ma il vero colpo di genio fu quello
della start up di alcuni giovani universitari. Cercando di emulare le
intuizioni di Linussio o dei Solari a Pesaris riuscirono a valorizzare i sacchi di cippato, inventandosi
un nuovo combustibile, una via di mezzo tra la carbonella e il pellet, un
materiale ad alto valore calorifico da usare in particolari stufe da
riscaldamento. Mattonelle leggere e pulite, facili da trasportare, capaci di
bruciare per ore. Di conseguenza nacque
la fabbrica per produrre queste stufe, secondo un particolare brevetto. Il
nuovo combustibile venne chiamato Carniafûc e la nuova stufa Fûcfire. Il mondo
venne invaso da questi nuovi prodotti e la Carnia divenne universalmente famosa
per la nuova invenzione. Un poeta, cui evidentemente non mancava la fantasia,
scrisse un carme sui Carni che erano riusciti a imprigionare il potere del loro
dio Beleno, il dio del sole.
Capitolo
- 17
Non è colpa loro!
Alla fine degli anni sedici, il
pessimismo aveva raggiunto livelli dai quali sembrava impossibile riprendersi,
come invece poi è avvenuto. Questa lettera scritta, (nel novembre del 2016) non
si sa bene da chi ad un imprecisato Alberto, rende bene l’idea del clima che si
respirava.
Carissimo Alberto,
alla fine mi sono convinto. Non è
colpa loro. Non ci possono capire. Usiamo un linguaggio troppo diverso dal
loro. Ai nostri tempi (chi più chi meno) noi ci incazzavamo contro la
generazione precedente. Erano gli anni settanta. Venivamo dal sessantotto (chi
più chi meno). Poi è arrivato il terremoto e ci siamo un po’ omologati
nell’idea di essere i ricostruttori materiali (anche morali?). Ora vorremmo
passare la mano pensando che questi siano come noi. Ma non è così! Me li
immaginavo incazzati contro la mia generazione: quella di chi non si è accorta
stesse fallendo la coop.ca, che s’è fatta scippare il tribunale, le caserme. La
generazione che non s’è accorta di come
il casello dell’autostrada introducesse una rivoluzione copernicana nel
modo di concepire la prospettiva di sviluppo della Carnia.
Ma questi non si incazzano! La
nostra incazzatura nasceva dall’avere un’ idea diversa rispetto a quella della
generazione precedente. Ma questi non hanno idee. Si sono visti cadere addosso
la riforma sanitaria, la riforma dei Comuni e non hanno fatto una piega! Da
sotto il piedi gli hanno tolto l’acqua, e sulla testa gli hanno calato
l’elettrodotto e non hanno avuto un brivido. Si sono rimessi a sognare un
inutile traforo di Monte Croce e si sono girati dall’altra parte. Si sono mossi
solo un po’ per aggiustarsi lo strapuntino, per un piede rimasto al freddo. Ti
incazzi con la storia se immagini il futuro! Ma se l’obiettivo è cavartela con
il quotidiano, usando la notte per prepararsi a sopportare senza danni il nuovo
giorno, l’incazzatura non serve. Anzi, fa danni!
Non è colpa loro! Gli abbiamo
insegnato che ci si può proteggere dal freddo, coprendosi con la coperta del
mito del passato. Che Il fiume è qualcosa da ammirare, non qualcosa da arginare.
Non ci possiamo sorprendere se non si accorgono che sta tracimando. Se pensano
di risolvere il freddo che sentono ai piedi, tirando un altro po’ la coperta
del mito. Crogiolandosi nell’idea di città alpina, come abbiamo fatto con
l’idea della Repubblica della Carnia.
Non è colpa loro! Noi venivamo (più
o meno) dal sessantotto. Questi vengono dal vuoto (dal punto di vista politico)
in cui li abbiamo cresciuti. Un vuoto che si ha l’impressione di riempire
quando si ha qualcosa o qualcuno a cui contrapporsi (vedi i cinque stelle), che
diventa assoluto quando si viene chiamati a riempirlo in proprio. Senza un’
idea di futuro, non lo si può che riempire alla rinfusa, dando valore e
significato ad ogni cianfrusaglia che capita per le mani. C’è solo da augurarsi
che si rendano conto dell’errore nel quale sono stati cresciuti e si fermino a
confrontarsi per elaborare una progetto di futuro. Piuttosto che andare senza
sapere dove è meglio fermarsi. E’ meglio perdere tempo a fare il punto della situazione e individuare
nuovi obiettivi, nuovo traguardi e quindi nuovi percorsi.
Ma se questi hanno la nostra testa,
da carnici, come faranno a pensare di
fermarsi a riflettere?...
Cap. 18 – Di
miti si muore.
A quei tempi circolava un tale che
sosteneva la tesi che il male della
Carnia fosse la mitopatologia. Con questa scusa se la prendeva con tutti. Nel diario de “I mitici anni venti in
Carnia”, è finita non si sa bene perché e per come una sua riflessione a
costituire questo capitolo 18 del diario,
che ha lo stesso titolo che lui ha dato alla riflessione.
Di
miti si muore.
Mi rendo conto che non è facile
seguirmi sulla strada della mia riflessione a proposito dei miti. Potrei anche essere completamente fuori strada. O
potrebbe essere una strada, peraltro già anticipata molto tempo fa dalle
riflessioni di Giorgio Ferigo. Per mito intendo la rappresentazione che la
società carnica ha di se stessa e della sua collocazione nel contesto i cui
vive. La rappresentazione che ne fanno e ne hanno fatta gli intellettuali o
quelli che passano per tali. Io credo che per superare il complesso di
inferiorità, sentendoci diversi in peggio, per colpa della natura matrigna,
invece che cercare in che modo
migliorarci, abbiamo voluto proporci come diversi in meglio (il mito!).
A iniziare dalla storia della
Resistenza. Invece che partire dalla
riflessione sul Martirio della Carnia, abbiamo trasformato il periodo in una
Estate di libertà. Invece che riflettere su come ci avevano fregato i politici udinesi, impiantando in Carnia una
loro repubblica partigiana del Friuli. abbiamo rovesciato la frittata, facendo
diventare la Repubblica partigiana del Friuli esportata in Carnia, come la
culla dell’autonomismo carnico. La Comunità carnica invece che una realtà da
costruire superando le difficoltà, l’abbiamo vista come la Magnifica Comunità.
I primi in Italia a pensare così in grande! I più bravi nella Cooperazione!
Salvo poi lasciar morire la Coop.Ca, le stalle sociali etc. (e speriamo che la
Secab faccia eccezione!). Con l’orgoglio d’essere il quinto capoluogo della
Regione, per merito del tribunale, salvo perdere il Tribunale e finire a fare
il paesotto, da quaranta anni attestato sui diecimila abitanti, incapace di
assorbire l’emorragia della montagna retrostante. Con l’orgoglio d’essere un
centro ospedaliero di livello regionale, salvo non accorgerci che l’ospedale
sta scivolando sulla strada che lo
porterà ad essere poco più che un pronto soccorso.
Anche il mito d’essere un importante
centro periferico di servizi dello Stato, Militari, Guardia di Finanza,
Carabinieri etc. sta per essere sfatato. Cosa ci resta per giustificare il
titolo di città? Basta fare una
passeggiata per le vie del centro per trovare la risposta…!
Però ci siamo proposti come Città
Alpina! E’ qui che volevo arrivare! Non vorrei che fosse il nuovo mito! Non
vedo che cosa ci sia a legittimare il fatto che Tolmezzo possa definirsi Città
Alpina.
Almeno che, invece che un mito nel
quale crogiolarci, come s’è fatto in
passato, non diventi un obiettivo da raggiungere. Città è sinonimo di
una qualità di vita legata alla qualità dei servizi. Alpina è l’aggettivo che
indica la capacità di questa città di relazionarsi con il territorio montano
circostante per diventarne non solo il capoluogo ma veramente la capitale.
Le generazioni precedenti si sono
lasciate condizionare dai miti. Mi auguro che la nuova, quella dei
trenta/quarantenni sia indenne dalla
mitopatologia. Mi dispiacerebbe finisse anche stavolta in una serie di convegni
nei quali illustri luminari ben pagati ci vengono a imbonire su quanto sia
bello vivere in una città alpina.
Mi auguro, al contrario, che Città
Alpina sia soltanto il titolo d’un quadro da riempire con le azioni previste
negli assi del programma Spazio Alpino. Quindi la città alpina dell’innovazione
sia sotto il profilo tecnologico che quello sociale, la città alpina vivibile
che sperimenta nuovi modelli di convivenza e condivisione, la città alpina del
buon governo riguardo anche al territorio retrostante al punto da riuscire a a
trasformare una Unione territoriale in un vera Comunità Montana.
Cap. 19 – Dalle
fantasie dei miti a quelle produttive.
Sulla scia della banda larga, si
realizzò in quegli anni un miracolo produttivo che ricordava molto quello del
Linussio che, nel settecento, partendo da Paularo, aveva impiantato una impresa
che dava lavoro a diciassette mila dipendenti. Una coppia di giovani carnici
chiese al Presidente del Consorzio Industriale gli spazi per poter realizzare
in Carnia il proprio sogno imprenditoriale. Quando sentì di cosa si trattava,
al Presidente imprenditore venne un po’ da ridere, ma non avendo nulla da
perdere, e avendo tanti capannoni vuoti assegnò loro gli spazi richiesti.
L’idea che sulle prime era parsa
stupida prese l’abbrivio e divenne un successo mondiale.
Partendo dalla favola di Pinocchio
nella quale si dice di Geppetto che ha rifatto i piedi al burattino, che se li
era lasciati bruciare, i due aggiunsero l’idea della fatina, che gli fece anche
delle scarpette, che chiamò appunto “Pinocchiette”. Le aveva fatte con i
pezzetti di stoffa trovati in casa, per cui erano scarpette più da Arlecchino,
che da Pinocchio.
Dalla favola, alla favola
imprenditoriale.
I due lanciarono l’idea d’un
mocassino, composto da tredici pezzi cuciti l’uno all’altro con cucitura a
vista. Quattro pezzi per parte, sulle tomaie laterali, uno in punta ed uno in
tacco, e tre nella parte superiore. Misero in rete un software che consentiva
agli utenti di progettarsi la scarpa. La suola era fatta in “noene” un materiale
assorbente che la rendeva particolarmente confortevole. Ma l’originalità stava
nel fatto che il cliente poteva sbizzarrirsi a comporre la sua scarpa
scegliendo tra una vasta tavolozza di colori e accostando a piacimento i
tredici pezzi che la componevano.
Tutto da ridere! Come avevano fatto
gli amici all’inizio, sentendo l’idea. Ma su un’iniziale passaparola scoppiò in
internet un fenomeno virale. La società divenne un modello di Industria 4.0. Le
pinocchiette divennero un successo mondiale! A Tolmezzo presero ad arrivare
ordini a bizzeffe. Trasmessi alla fabbrica che si era realizzata ad Amaro nel
magazzino dell’Ex Coopca, gli ordini venivano evasi in giornata e spediti in
ogni parte del mondo.
Calzare le pinocchiette multicolore,
divenne una moda.
Mantenendo l’idea del multicolore a scelta si
dovettero scegliere nuovi tipi di materiale: stoffe particolari, pelli speciali
e persino plastiche. Ci fu una gara tra i
giovani a fare gli accostamenti
di colore più originali. Si indissero concorsi alla pinocchietta più originale,
serate di moda per inventare nuovi accostamenti. Anche i meno giovani le
vollero, a volte scegliendo tredici pezzi dello stesso colore, ma apprezzando
il confortevole della scarpetta. Quando poi se ne innamorarono anche i miliardi
di cinesi e indiani, si dovette dislocare uno stabilimento di produzione in
oriente, ma per merito della banda larga, gli ordini continuavano ad arrivare
in Carnia. S’era ripetuto il miracolo di Linussio che aveva fatto della Carnia
il centro del mondo. Ma non è finita! Il bello è che l’idea (che sembrava
ridicola!) divenne un modello di sviluppo: il mix tra fantasia e internet
divenne l’asset vincente per la carnia del 2020.
Cap. 20 - Da Linussio a Menennio
Agrippa .
Non so se ha veramente manico la
riflessione sul fatto che di miti si muore, ma in quel disgraziato 2016 deve
aver fatto un certo effetto. Deve aver contribuito almeno a far ragionare sul
fatto che fermarsi a capire chi si è,
per sapere dove si può andare, non è tempo perso. Nella discussione si
deve essere inserito qualcuno a suggerire che tra i miti da demolire c’era
anche quello del carnico “sald onest lavorator”. L’uomo del diario deve aver
avuto un momento di perplessità. Demolito anche questo che cosa restava degli
allori su cui la Carnia si era cullata nel Novecento? Ma, alla fine, costretto
a riflettere, per essere obiettivo arrivò a delle conclusioni sconcertanti.
Da una matrice storica
anarco-socialista il carnico si porta dentro una sorta di odio/invidia per il
padrone. “Non sarò io a ingrassare il padrone!” Ma il bello è che questo
atteggiamento da proletario incazzato lo rivela solo quando il padrone è un
altro carnico. All’estero i carnici si sono rivelati sempre lavoratori eccezionali. Anche in Italia,
anche in Friuli!. Persino in Carnia se il datore di lavoro è Marchionne o la
Burgo! Purchè il padrone non sia un suo simile, cioè un carnico! In questo
caso, a prescindere da chi sia, emerge nel dna l’atavico blocco per cui “non si
può ingrassare il padrone”. E’ un problema di dignità personale!
“Non è vero,” si obiettò anche
allora, il fenomeno storico di Linussio, dimostra il contrario. Sì e No!
Linussio, da paularino, aveva capito i carnici, e li sfruttò facendoli lavorare
non come dipendenti ma come padroncini. Tanti lavoratori a domicilio ed a
cottimo, e quindi tante formiche in gara tra loro a chi faceva di più. Se fosse
vera questa teoria si spiegherebbe la difficoltà ad avere in Carnia una imprenditoria locale diffusa. Che sia
vera o no comunque, nei mitici anni venti
è capitato che la messa in luce del problema, ha portato a trovare la
soluzione per superarlo. Si sono istituiti dei corsi di formazione intitolati a
Menennio Agrippa. Che c’entra Menennio con il suo famoso apologo? Si è preso a
spiegare e a far capire che la Carnia deve essere considerata come un corpo: se
lo stomaco, per gelosia, ha paura di alimentare il cervello, questo si
infiacchisce, manca di stimoli e di energia. La sua apatia porta alla
depressione, che diventa inappetenza, poca voglia di alimentare lo stomaco.
Che sia stato merito di Menennio ho
dei dubbi. Il diario però registra che
sulla base di questa riflessione s’è avuto uno scatto d’orgoglio ed ha preso a
fiorire un sistema di imprenditoria locale dinamico e innovativo in ogni settore.
Uno degli elementi portanti dello sviluppo dei mitici anni venti.
Cap. 21 – Il
problema è solo culturale?.
Per capire il miracolo del “mitici
anni venti” è indispensabile capire da dove si è partiti e il percorso che si è
pensato di seguire.
Quando si era toccato il fondo in
quel disgraziato 2016, un tale (che sia lo stesso del diario?) continuava a
ripetere come un mantra che il problema del degrado della Carnia era soltanto
un problema a culturale. Alla fine perché smettesse di rompere, gli fu
organizzato un convegno perché spiegasse che cosa intendeva dire.
“Cultura è…?” prese a dire e lasciò
i convenuti per qualche minuto in sospeso. Qualcuno a pensare che cosa fosse
veramente la cultura. I più a pensare che fosse uscito di testa l’oratore.
“Cultura è, come dice la Trecani”,
riprese a dire “ l’insieme delle cognizioni intellettuali
che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza,
rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da
convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua
personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in
breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo”.
Tutto
troppo complicato, aggiunse, e dopo un nuovo minuto di silenzio sbottò nella
sua definizione: “Cultura è sapere chi sei nel contesto in cui vivi”.
Aggiungendo, a mo’ di spiegazione “colta è quindi la persona che sa chi è nel
contesto in cui vive”
Un
carnico può dirsi colto, quando si rende conto di cosa significa essere una
persona con la propria individualità, che vive nel contesto della Carnia, della
sua storia delle sue tradizioni, sapendo leggere ed apprezzare l’ambiente che lo circonda.
Un
percorso di sviluppo per un territorio deve fondarsi sulla consapevolezza
individuale dei suoi abitanti che è bello il posto ove si è nati e che assieme
lo si può trasformare in un luogo ove si è avuta la fortuna di nascere.
“Ma
che cosa s’è fatto finora, per consentire l’acquisizione di questa
consapevolezza,” ci si è chiesti in quel fatidico 2016. “Niente!” è stata
l’amara e doverosa constatazione. Come può insegnare a vivere il contesto d’un
paese una maestra che non lo conosce o un professore catapultato a forza in un
paese, chissà da dove, per necessità non
per scelta. Insegnanti a disagio non possono che trasferire il loro disagio sulla sede ai cui sono
assegnati e alla fine ai loro alunni. Educano alla diffidenza e alla insofferenza verso il territorio piuttosto
che alla condivisione e all’amore.
“Cosa si può fare?” si è chiesto chi capiva
che piangersi addosso non serve a niente. “Si deve partire dalla scuola, dalle
elementari, o addirittura dalle materne” ha suggerito qualcuno e il
suggerimento è diventato un progetto per la riforma della scuola in Carnia.
I
ventotto sindaci hanno capito che il loro compito non poteva limitarsi a
fornire i locali più o meno riscaldati. Dovevano intervenire sul programma
educativo. A forza di accorpamenti si era finiti ad avere un unico Istituto
Comprensivo Carnico, con una unica dirigente competente su tutto il sistema
formativo, dalle scuole materne alle scuole medie. Fra il Presidente dell’Unione territoriale intercomunale e la
Dirigente fu facile trovare un accordo su un progetto che si muoveva su due
gambe: la teledidattica e l’alternanza
scuola territorio.
Sulla
prima gamba ci fu un grosso investimento della UTI, per dotare tutte le aule
della LIM, e per metterle in rete
“spillando” dalle rete dei Comuni.
Sulla
seconda gamba si concordò un progetto di scuola a tempo pieno con i
bambini/ragazzi, nelle mattinate, a scuola negli Istituti di Vallata.
Eliminando le residuali pluriclassi. Al pomeriggio invece, a fare i compiti e i
programmi integrativi di alternanza scuola/territorio nei propri Comuni, e,
quando possibile, nei propri paesi.
Anche al pomeriggio in aule dotate di LIM in
rete, in modo da potersi collegare al mondo, ed allo stesso tempo con la
presenza di anziani del luogo, ad insegnare a capire come vivere al meglio il
proprio paese. Nulla di particolarmente originale. Si copiò l’idea dai progetti
di alternanza scuola/lavoro. Come quelli si ponevano l’obiettivo di collegare
la scuola al mondo del lavoro, portando i ragazzi a vivere momenti di esperienza
lavorativa, questi si posero l’obiettivo di collegarla al territorio,
integrando ai programmi ministeriali momenti di esperienza del proprio
territorio di conoscenza della storia.
Nulla di
particolarmente originale perché da anni molte maestre stavano facendo
originali esperienze di questo tipo producendo giornali, calendari e libri sul
territorio.
Ma si riuscì a
farne un sistema, un metodo, condiviso in rete a livello trasversale tra
scuole, a livello verticale con gli amministratori. Se amministrare un Comune
significa porsi come manager dello sviluppo del proprio territorio, la
formazione delle persone a vivere il territorio, non può non essere il primo
punto d’un programma amministrativo. Soprattutto
in montagna, quando la premessa al programma, deve essere quella di mantenere e
far tornare la gente a vivere nei paesi nei quali hanno avuto la “fortuna” di nascere.
Cap. 22 - Dalla scuola la rinascita in Val
Degano e Val Pesarina.
(Sviluppo del capitolo precedente)
Un ultimo sassolino si muove e parte
una frana imponente. Un insignificante
sassolino può così prendersi il
merito d’aver provocato una frana. Allo stesso modo anche un fatto di per sé
insignificante può diventare la prima pietra della rinascita dopo la
frana. Per questo gli storici del
fenomeno della rinascita dei mitici anni venti in Carnia, attribuiscono una
importanza tutt’altro che secondaria
alla conferenza tenuta dal già citato rompiballe all’inizio del 2017 sulla
scuola del futuro in Carnia.
Fu proprio dall’idea d’una frana che
prese avvio il suo discorso. “C’è una frana demografica in atto, tanto vale
calcolare dove si potrà fermare e da lì ripartire per ricostruire” Partì dalla
previsione che dai 37.000 abitanti del 2017, in pochi anni la frana potesse
arrestarsi attorno ai 30.000, e che quello fosse il dato su cui ragionare per
immaginare il progetto della rinascita.
Nulla di preoccupante spiegò dandosi
arie da storico, perché la Carnia è sempre vissuta in una guerra continua con
il bosco. A momenti l’ha respinto a favore dei prati, a momenti il bosco s’è
ripreso il territorio. Nel 1781 la Carnia aveva
25.900 abitanti mentre invece nel 1922 ne aveva 65.850. Dopo un secolo
tornare ai 30.000 (o giù di lì) è fisiologico. Ma la Carnia che si può
immaginare partendo da questo dato non ha nulla a che vedere con quella che si
era sviluppata su un numero più del doppio di abitanti. Ogni rimpianto è una
perdita di tempo a partire da quello sul fatto che ogni paese aveva una scuola.
Dal punto di vista della
riorganizzazione scolastica si deve subito immaginare la Carnia dei tre Istituti comprensivi: Val
Tagliamento-Val Degano, Valle del But, e Conca Tolmezzina. Attardarsi su
soluzioni intermedie è perdita di tempo.
Una (due al massimo) scuole Secondarie di Primo grado, due (tre al massimo)
scuole Primarie per comprensorio. Il come e il dove da programmarsi non
pensando alla difesa del numero degli
addetti (insegnanti e Ata), non alle bandierine che ogni Sindaco
vorrebbe mantenere nel suo Comune, ma all’interesse dei ragazzi. Da crescere in
una scuola di eccellenza se si vuole che possa diventare un motore di
eccellenza per la rinascita del territorio.
Già vent’anni prima con il progetto
Sbilfs, in Carnia s’era proposta la teledidattica per conciliare il decentramento possibile con le
pluriclassi, con la necessità di evitare gli handicap che la pluriclasse può
portare sotto il profilo didattico. Il rompiballe era stato invitato a
conferenziare, proprio perché a suo tempo era stato ideatore di quel progetto.
Si pensava che lo riprendesse e rilanciasse e invece…
Analizzando le soluzioni più
avanzate in fase di sperimentazione in Italia ed all’Estero, venne a proporre
le CLASSI VIRTUALI A LEZIONE RIBALTATA. Non si trattava d’una provocazione
perché la proposta era in linea con quanto
si andava seminando in Alto Friuli. Già il 6 settembre 2016 si
era tenuto un convegno sul “Fare didattica utilizzando gli EAS - episodi di apprendimento situato”. La
sua proposta immaginava di portare a sistema le idee di quel convegno: dagli
EAS alla Flipped Lesson.
Flipped era già stata tradotto, con
la mania dei termini in friulano, in
“Metìn sot sore”, da lui veniva ritradotto in “ribaltata”. A dar l’idea
d’un vero ribaltamento dell’idea tradizionale di lezione frontale. L’uditorio
composito non consentiva una trattazione approfondita dell’argomento. Si
trattava di buttare un seme, e la conferenza fu l’occasione.
Casualità o coincidenza! L’idea
venne subito tradotta in un progetto
nell’ambito del programma Aree Interne. Nacque così il programma pilota di scuola a classi
virtuali a lezione ribaltata, che aveva come primo ambito di applicazione
proprio la Val Degano-Pesarina.
La scuola Secondaria di Primo grado
ad Ovaro e due Primarie: quella di Ovaro per i ragazzi del posto, quella di
Comeglians per i restanti Comuni. Le classi vennero collegate in rete a Banda
larga convincendo l’Insiel a spillare la fibra dai Comuni. Tutti i ragazzi
vennero dotati del Tablet. Le classi dotate della LIM la lavagna interattiva,
collegate in rete. Un a grande spesa? Meno di quella necessaria per rettificare
una curva o fare un nuovo ponte!
Il concetto di “lezione ribaltata”
si fonda sul presupposto che la conoscenza non va trasmessa ma va costruita
dando all’insegnante il compito di facilitatore non di trasmettitore. Il
secondo presupposto è che le nuove tecnologie amate dai ragazzi, non vanno
demonizzate ma utilizzate. Su questi presupposti si sviluppa una didattica che
rovescia l’idea tradizionale di lezione. Agli scolari viene anticipato il tema
della lezione e vengono suggeriti i siti web ove possono acquisire una prima
conoscenza, in classe si passa a ristrutturare le conoscenze acquisite. Si
applica così il concetto di base del costruttivismo sociale per il quale la “conoscenza
non è un insieme di nozioni teoriche apprese, ma frutto di un processo
dinamico, cioè della partecipazione attiva di un soggetto all'interno di un
contesto, data dall'interazione con gli altri membri e la situazione
circostante”.
Il programma sperimentale si
sviluppò in collaborazione con l’Università di Udine che mise a disposizione
due tutor, con il compito di assistere quotidianamente gli insegnanti impegnati
nella sperimentazione, con incarico a tempo pieno.- Un dottorando di Scienze
della formazione che si stava specializzando sul tema ed un dottorando di
informatica esperto della materia. Il comitato di Pilotaggio era costituito dai
cinque sindaci della vallata. Convinti
che il loro compito non fosse solo quello di badare a che la scuola
avesse il riscaldamento, s’erano posti finalmente nell’ottica di diventare
“manager dello sviluppo economico del loro territorio”, facendosi carico quindi
della formazione delle nuove generazioni.
Per la flessibilità consentita dalle
classi ribaltate, le lezioni in aula si tenevano solo alla mattina. I ragazzi
rientravano al pomeriggio per il doposcuola nei rispettivi Comuni ove avevano
la possibilità di prepararsi alle lezioni del giorno dopo seguiti da un tutor,
a spese del Comune, e da animatori volontari, con il compito di sviluppare in
loro il concetto ed il valore dell’identità di paese. Incidentalmente questa
possibilità consentì ai sindaci di salvare le “bandierine” e rendere più facile
l’’accettazione del progetto.
Originale anche l’organizzazione
delle classi come piccole cooperative, su modelli già sperimentati dall’Irecoop
di Confcooperative. Divennero comunità di pratica per fare una esperienza di
democrazia, attraverso le elezioni del presidente e del consiglio di
amministrazione. Ma soprattutto divennero comunità di pratica per inseminare
l’idea del fare impresa. Con la collaborazione di volontari del paese le classi
attivarono iniziative di produzione e commercializzazione di prodotti
agroalimentari, facendo esperienza “sul
campo” di gestione ambientale. Introducendo la metodologia del cooperative
learning, dello studio cooperativo condiviso, divennero strumenti per favorire
la cultura della condivisione
Come all’inizio del Novecento era
stata l’idea della cooperazione a favorire lo sviluppo della Carnia, si andò
affermando l’idea della condivisione (sharing), come chiave per innescare un
nuovo processo di sviluppo.
Sharing-condivisione presupposto del progetto
scolastico divenne un “must” per la valle. Sharing nei trasporti. La
flessibilità tra scuola e doposcuola avrebbe comportato l’aumento dei costi dei
trasporti e invece si giunse all’ eliminazione degli scuolabus sostituiti da una
sistema di car pooling e car sharing utilizzando come autisti, genitori, nonni
e volontari.
Dalla scuola il sistema si trasferì
al territorio e vennero eliminate anche le corriere.
Ogni comune si dotò di autovetture
da mettere a disposizione in car sharing. Il cittadino che la noleggiava aveva
una tariffa scontata, (a titolo gratuito se caricava tre passeggeri). Gli
studenti e poi gli abitanti acquistavano dei buoni trasporto a prezzo agevolato (finanziamento del
progetto) che consegnavano al conducente
che scontava il costo del noleggio. Il tutto in forma telematica o cartacea.
Furono eliminate anche le mense
scolastiche. I buoni pasto venivano gestiti condividendo la tavola delle mamme
non impegnate al lavoro. Si riuscì persino a superare il disagio dei ragazzi
che dovevano partire da più lontano. Si stabilì che le lezioni iniziavano al
momento in cui i ragazzi si collegavano con il tablet alla scuola. Quelli di
Forni Avoltri lo facevano entrando nelle autovetture dotate di WiFi, quelli di
Ovaro entrando in classe.
Il modello scuola si diffuse al
territorio. Il concetto di Sharing consentì ad ogni paese d’avere l’Asilo Nido
nella forma del Tagesmutter, la scuola materna nella forma delle classi aperte
con il metodo Montessori, che prevede l’avvicinamento del bambino alla natura e
al territorio che lo circonda. Gestendo l’orto o l’allevamento di chiocciole,
previsto dal metodo, si sviluppò in loro il seme dell’imprenditoria.
I Sindaci della valle capirono che
dallo sviluppo di questo seme dipendeva il futuro della valle come quello di
tutta la Carnia. Presero così a gestire sul proprio territorio i programmi di
alternanza scuola lavoro introdotti nelle scuole medie superiori, finalizzati a
favorire lo sviluppo del seme della cultura d’impresa. Rispetto ad un passato
quando l’ideale era quello di poter fare la guardia forestale, prese a passare
il messaggio che era stato di Linussio dell’”ex se factus-fattosi da solo”,
come ideale per la realizzazione sul piano umano prima ancora che su quello
professionale e del business.
Sharing e Rete divennero le parole chiave anche per lo sviluppo economico. Il car-sharing consentì di risolvere il problema di molti servizi a partire da quello postale per arrivare a quello della spesa a domicilio.
Sharing e Rete divennero le parole chiave anche per lo sviluppo economico. Il car-sharing consentì di risolvere il problema di molti servizi a partire da quello postale per arrivare a quello della spesa a domicilio.
La condivisione delle case nelle
forme del B&B in rete, rilanciò la ricettività che aveva avuto un grande
rilievo nella storia della vallata e consentì la ripresa del turismo. La
condivisione dell’agroalimentare a chilometro zero, fece della valle Degano-Pesarina
un modello da esportare in tutta Europa.
La integrazione del reddito con
attività legate al paese diede una nuova motivazione alla scelta di vivere in
montagna, mentre la scuola ridava nuove motivazioni sul piano culturale, e la
riorganizzazione socio sanitaria consentiva una nuova vivibilità.
Le figure del vigile di paese e
dell’infermiere di paese, come terminali locali
della rete carnica dei servizi socio sanitari, ricrearono un clima
diverso all’interno dei paesi. Migliorata l’assistenza domiciliare con
l’introduzione dei sistemi domotici di vigilanza a distanza, fu possibile anche
per gli anziani soli continuare a risiedere il paese. Mentre il collegamento
telematico con sistemi avanzati di visione consentiva agli infermieri di paese
di operare come terminali del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Tolmezzo i cui
medici potevano partecipare in diretta a
definire la diagnosi dei casi esaminati dell’infermiere.
Alla fine si affermò persino il
car-cooking al quale il rompiballe aveva parlato in altra occasione: si diffuse
e divenne tradizione, l’idea di condividere in forma comunitaria, il pranzo
della domenica.
Chi avrebbe potuto immaginare che da
un seme gettato a scuola, potesse nascere una pianta così nuova e
rigogliosa!...
DD, Degano Domani divenne un
marchio!!!
Cap. 23 - Dalle
fine delle Caserme la nuova Tolmezzo.
La dismissione della Caserma
Cantore, assieme alla Del Din, dopo il pianto di prammatica sui danni che
sarebbero derivati dalla perdita dei militari che vi prestavano servizio, è
diventata, in quel fatidico 2017, la più importante occasione per il rilancio economico e sociale che ha
portato, come s’è più volte detto, ai mitici anni venti della Carnia.
A Tolmezzo si capì subito che
l’utilizzo civile di due aree importanti per le dimensioni e la collocazione
avrebbe potuto avere conseguenze devastanti sul piano urbanistico e quindi sul
piano della organizzazione dello sviluppo urbano. Si decise quindi che
l’impatto doveva essere assorbito attraverso una variante generale al Piano
regolatore che rivedesse l’organizzazione di tutti gli spazi pubblici.
A monte però ci fu una decisione che
provocò non poche polemiche ma che si rivelò la chiave di volta del nuovo
sistema: Tolmezzo rinunciò alla proprietà della Caserma a favore della appena
costituita Unità Territoriale Intercomunale della Carnia. Venne quindi spontaneo il ragionamento
successivo per il quale si immaginò una articolazione funzionale a tre livelli
degli spazi pubblici sul territorio comunale: gli spazi comunali, gli spazi da
capitale della Carnia, gli spazi da riferimento regionale per l’area montana.
Si licet parva componere magnis, si
ragionò sulla Caserma Cantore paragonando Tolmezzo a Roma. Una cosa è il
Campidoglio, altra cosa il Quirinale! Se in piazza XX settembre c’è la sede del
Comune, la caserma Cantore va destinata alle funzioni di capitale della Carnia.
Andava immaginata quindi come sede di rappresentanza della Carnia, spostando
gli Uffici amministrativi allora mal sistemati in Via Carnia Libera, e collegandovi
tutti i centri servizi a valenza territoriale.
Si approfittò del fatto che in quel
2017 Tolmezzo era stata inserita nel novero delle Città Alpine a livello
nazionale, per convincere la Regione a investire per farne veramente una “città
alpina”, promuovendola a capitale della montagna regionale. Si trattava per la
Regione di dare un senso all’investimento fatto per costruire a Tolmezzo un
“palazzo della Regione”. Il palazzo poteva avere un senso soltanto immaginando
un decentramento di funzioni regionali, non tanto a livello amministrativo,
quanto riguardo alle azioni che la Regione aveva in programma per favorire lo
sviluppo della montagna.
Un po’ quello che si era pensato a
suo tempo istituendo l’Agemont. In questa ottica venne logico a livello urbanistico
pensare che si dovessero considerare spazi regionali, (impegnando la Regione ad
occuparli e riutilizzarli) gli spazi pubblici sulla via di fronte al Palazzo
regionale: gli uffici comunali di Via Linussio, l’ex Istituto Magistrale e
anche la sede del Cosilt.
Per farne che si chiesero in
Regione? Scattò la classica lampadina! Morta l’idea perseguita dal Consorzio
Universitario di portare a Tolmezzo una facoltà. Morta opportunamente perché
senza senso l’idea di decentrare facoltà universitarie. La si riprese pensando
a una sezione staccata della Scuola Normale si Udine. Un anno di
perfezionamento post-laurea finalizzato a declinare le competenze acquisite,
nei vari percorsi di laurea, sulla peculiarità dello sviluppo della montagna.
Una scuola quindi per la montagna di livello nazionale, gestita dalla Regione
assieme all’Università di Udine. Un
Master per venti persone, riconosciuto a livello ministeriale, con l’adesione
delle Regioni attraverso la messa a disposizione di borse di studio per la
frequenza. Soltanto in un paio d’anni divenne la scuola della montagna per
eccellenza, la scuola per i manager dello sviluppo montano nelle Regioni di
provenienza. Si dovette pensare subito a duplicarla nell’ambito del programma
Spazio Alpino, con un’analoga scuola internazionale con l’adesione degli Stati
transfrontalieri interessati dal programma.
A caduta si collegò un altro
discorso che consentì di valorizzare l’edificio dell’ex Istituto Magistrale.
All’istituto professionale per cuochi e camerieri già attivo, si collegò un
biennio di perfezionamento, per quanti volevano imparare a gestire in proprio
le competenze acquisite, diventando imprenditori dell’accoglienza turistica.
Periti turistici quindi, educati a vedersi realizzati non nell’ambito della
burocrazia regionale, ma nel gestirsi in proprio, trasformando in opportunità
le potenzialità del territorio.
All’interno dell’istituto si applicò
un innovativo programma di alternanza scuola lavoro. La centralità
dell’edificio consentì di aprire la gestione di un bar e di un piccolo
ristorante, aperto al pubblico.
Mentre la Regione, per intervento
diretto, stava realizzando queste cose, con un suo adeguato finanziamento,
l’UTI della Carnia era venuto trasformando la Caserma Cantore nel cuore dello
sviluppo della Carnia. Vi aveva trasferito la sede di rappresentanza. E
occupando locali che in passato avevano visto i protagonisti di uno sviluppo
riconosciuto a livello europeo, i Sindaci, avevano cominciato a smettere la
mentalità ristretta della logica del loro campanile, per pensare nella
prospettiva della Carnia come una unica Comunità. S’era finalmente capito che
solo dallo sviluppo complessivo della Carnia sarebbe potuta venire la salvezza
per i loro campanili.
Accanto alla sede di rappresentanza
si erano trasferiti tutti gli uffici, ma soprattutto si erano trasferiti gli
Enti strumentali di sviluppo economico e sociale a partire dal Cosilt. I
Sindaci che, come s’è visto, avevano iniziato a capire cosa significasse essere
manager dello sviluppo economico e sociale
del proprio Comune, capirono che, ancora di più, questo doveva il ruolo che
assumevano all’interno dell’UTI. Finiti
in quello che era stato il grande sogno di un carnico che partito da Paularo
era riuscito a pensare a livello europeo, capirono che anche loro dovevano
avere un “dream”, dovevano pensare in grande, avendo come obiettivo lo sviluppo
economico del territorio.
Rinacque così la “Fabbrica
Linussio”, come espansione e sviluppo della Comunità Carnica. Linussio aveva
saputo trasformare il territorio in una “fabbrica”, collocando sul territorio
un sistema di piccole fabbriche che avevano nella “Fabbrica” il centro del
sistema. I Consorzi di settore, collocati nei locali dell’ex fabbrica,
divennero, i moderni centri di rete, di tante piccole fabbriche, in capo a
giovani imprenditori innovativi, capaci di trasformare in vantaggi economici le
opportunità del territorio, in campo turistico, artigianale e dei servizi.
A questo punto il piano regolatore
del Comune di Tolmezzo non poteva che prendere atto di ciò che era avvenuto.
Furono così destinati a spazi a gestione comunitaria gli spazi dell’ex-caserma,
a spazi della Regione quelli insistenti su Via Cesare Battisti. Il Comune venne
accentrandosi su Piazza XX settembre, occupando gli spazi dell’ex Tribunale.
Con un’espansione intelligente nei locali che erano stati della Comunità.
Divennero infatti un centro di aggregazione socio culturale, che aveva nella ex
sala riunioni della Comunità, ad un tempo, il punto di aggregazione e
l’interfaccia verso il territorio.
Rimaneva senza destinazione la
caserma Del Din. Ridotta dall’incuria ad un cumulo di macerie, restava
solo il sedime. Qualcuno avrebbe voluto
farne un nuovo quartiere di case popolari, alla fine prevalse l’idea originale
di farne un’espansione della Stazione delle autocorriere. In una accezione
completamente nuova: quella di deposito e centro servizi per il car-sharing e
il car-pooling. Metodologia innovativa di uso dei mezzi pubblici e privati che
aveva avuto un’espansione virale e che in pratica era venuta costituendo
in nuovo sistema di trasporti per la
Carnia.
Cap. 24 - Dal
Cosilt l’innesco dell’esplosione economica.
(seguito
del capitolo precedente)
Il trasferimento della sede del
Cosilt nella ex Fabbrica Linussio, è stato l’elemento che ha fatto recuperare
alla “Fabbrica” l’antico dinamismo. Recuperando le idee che avevano portato la
vecchia Agemont a dar vita addirittura al Consorzio Friuli Innovazione, di cui
ora mena vanto Udine, il Cosilt assunse le funzioni di Agenzia per lo sviluppo
economico e quindi di promotore per la nascita, ed accompagnatore per il
decollo, di nuove imprese in capo a giovani imprenditori, in qualsiasi settore.
Da imprese per l’integrazione del reddito familiare come i B&B, alle
imprese ad alto contenuto innovative nel campo dell’elettronica della
telematica e della meccatronica.
La parte della “Fabbrica” che era
stata trasformata nei servizi di albergaggio per l’artiglieria da montagna,
comprese le scuderie per i muli, venne trasformata in un incubatore di imprese,
sulla scia di quanto si era già fatto a Spilimbergo approfittando del programma
comunitario Konver e a Friuli Innovazione con il programma Techno Seed
finanziato da programmi ministeriali.
Si discusse inizialmente se
riservare gli interventi ai giovani carnici, poi prevalse l’idea che l’innesto
di residenti dinamici e innovativi, avrebbe contribuito alla ripresa
demografica, ma soprattutto all’animazione del territorio. D’intesa con l’Ater
l’agenzia per l’edilizia economica e popolare, si definì un pacchetto di
agevolazioni per chi voleva insediare la sua start up nella ex Fabbrica, che
comprendeva la messa a disposizione per un quinquennio d’un alloggio a
condizioni agevolate, per il primo anno a titolo gratuito. Questo naturalmente
in aggiunta alla messa a disposizione degli spazi per iniziare l’attività, alle
agevolazioni finanziarie previste da apposita legge regionale e
all’assistenza-affiancamento (a titolo gratuito) d’un imprenditore del settore
e d’un esperto commercialista, sul modello del progetto Techno Seed.
Per quanto riguardava i giovani
carnici, si capì che il problema era soprattutto di mentalità a quindi
culturale. Per questo il Cosilt acquisì le risorse professionali in grado di
assistere le scuole nei loro progetti d’inseminazione della idea d’impresa, in
particolare si assunse la gestione diretta dei progetti di alternanza
scuola-lavoro. Sviluppò quindi all’interno dell’ex Fabbrica un Coworking Center
frequentato soprattutto nei fine settimana dai giovani universitari carnici.
Attrezzato con un bar autogestito dal CUCC Circolo Universitario Culturale
Carnico, il Coworking Up divenne un luogo di aggregazione ove i giovani
presero, oltre che a dire cazzate per passare il tempo, a discutere del loro futuro visto nel futuro
dello sviluppo della Carnia.
La storica “Fabbrica”, divenuta così
sede di Tolmezzo-capitale, e ridiventata in breve il cuore pulsante d’una
Carnia rinata sotto il profilo sia economico che sociale. Tolmezzo-Comune ne ha
guadagnato, perché il sistema bipolare ha consentito alla realtà urbana di
svilupparsi proprio sull’interscambio tra i due poli. Si è evitato così il
rischio che si era paventato, al momento della dismissione dell’ex caserma e
all’inizio della discussione. Il pericolo cioè che un allargamento della
struttura urbanistica potesse portare ad un ulteriore sfilacciamento e quindi
degrado del tessuto urbano della città che nel 2016 aveva toccato livelli
veramente da non ritorno.
Cap.
25 - Carnia Bio
L’idea
che cambiò la Carnia negli anni venti venne da quel selvatico gestore del
Borgat che però riprendeva una idea di Leo Zanier di trenta anni prima, proprio
in coincidenza con la morte del grande poeta innamorato della sua Carnia: fare
delle erbe officinali il brand di sviluppo del territorio. Sull’idea si innescò
un Progetto integrato di sviluppo per il programma sulle Aree Interne. Queste (in sommario) le linee di
intervento, ma in pratica ci fu molto di più (!!!):
A
– Agricoltura: si favorì in vari modi la diffusione dell’impianto di erbe
officinali nei terreni incolti, favorendo la caratterizzazione delle valli per
tipo di pianta.
B
- Artigianato: si promosse l’attivazione di sistema di laboratori artigianali
per la trasformazione delle piante officinali in prodotti per la cosmesi. In
rete le farmacie rurali di zona acquisirono specifiche competenze per la trasformazione delle erbe in prodotti
farmaceutici, in collegamento con centri fitness nei quali si applicavano i
prodotti.
D
– Le Terme di Arta diventarono il centro di riferimento del sistema fitness
diffuso, Sauris la punta di diamante del progetto.
C
– L’idea era stata suggerita dal fatto che già nelle scuole locali si erano
attivati percorsi di formazione sulla realizzazione di prodotti per la cosmesi
e il benessere. Vennero sviluppati, intensificati, qualificati in
collaborazione con la facoltà di Farmacia dell’Università di Trieste, e
sfornarono le persone con le competenze necessarie per attuare il progetto.
D
– Agroalimentare. Le erbe officinali furono assunte come caratterizzanti i
prodotti agroalimentari della zona. I piatti alle erbe officinali la
peculiarità della cucina carnica.
E
– Turismo. Carnia.Bio divenne il brand
per rilanciare il turismo, puntando al target degli amanti del turismo-verde,
in una Carnia diventata ancora più verde per le coltivazioni di piante
officinali, resa intrigante con il recupero delle leggende legate al
territorio, più ospitale per il rilancio storico delle camere con prima
colazione o B&B che dir si voglia.
F
– La Caserma Linussio divenne il cuore del sistema, l’hub del biodistretto. Il
salone delle feste il luogo d’incontro ove realizzare importanti incontri tra
produttori e consumatori. I laboratori di produzione, alternati ai laboratori
didattici dell’Istituto tecnico e Professionale, garantivano il livello della
formazione ma costituivano una vetrina sul territorio.
Il villaggio
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B – benefica?
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Di nome
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I –
intrigante?
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C A R
N I
A
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O – ospitale?
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“Alle erbe” divenne una
sorta di brand guida per lo sviluppo e per la promozione del territorio. “Alle
erbe” infatti divenne la caratterizzazione dei piatti della cucina locale, come
pure quella dei prodotti dell’agroalimentare. Dopo alcune sperimentazioni non
riuscite si misero a punto dei formaggi alle erbe che divennero un prodotto
ricercato a livello mondiale. I locali della ex.Rilcto divennero il centro di
trasformazione delle erbe officinali in prodotti per la cosmesi, quelle dell’ex asta bovine in centro per l’essiccazione
delle erbe, la Fabbrica Linussio il centro di sperimentazione e di
commercializzazione.