Dalle fine delle Caserme
la nuova Tolmezzo.
La
dismissione della Caserma Cantore, assieme alla Del Din, dopo il pianto di
prammatica sui danni che sarebbero derivati dalla perdita dei militari che vi
prestavano servizio, è diventata, in quel fatidico 2017, la più importante
occasione per il rilancio economico e
sociale che ha portato, come s’è più volte detto, ai mitici anni venti della
Carnia.
A
Tolmezzo si capì subito che l’utilizzo civile di due aree importanti per le
dimensioni e la collocazione avrebbe potuto avere conseguenze devastanti sul
piano urbanistico e quindi sul piano della organizzazione dello sviluppo
urbano. Si decise quindi che l’impatto doveva essere assorbito attraverso una
variante generale al Piano regolatore che rivedesse l’organizzazione di tutti
gli spazi pubblici.
A monte
però ci fu una decisione che provocò non poche polemiche ma che si rivelò la
chiave di volta del nuovo sistema: Tolmezzo rinunciò alla proprietà della Caserma
a favore della appena costituita Unità Territoriale Intercomunale della
Carnia. Venne quindi spontaneo il
ragionamento successivo per il quale si immaginò una articolazione funzionale a
tre livelli degli spazi pubblici sul territorio comunale: gli spazi comunali,
gli spazi da capitale della Carnia, gli spazi da riferimento regionale per
l’area montana.
Si
licet parva componere magnis, si ragionò sulla Caserma Cantore paragonando
Tolmezzo a Roma. Una cosa è il Campidoglio, altra cosa il Quirinale! Se in
piazza XX settembre c’è la sede del Comune, la caserma Cantore va destinata
alle funzioni di capitale della Carnia. Andava immaginata quindi come sede di
rappresentanza della Carnia, spostando gli Uffici amministrativi allora mal
sistemati in Via Carnia Libera, e collegandovi tutti i centri servizi a valenza
territoriale.
Si approfittò
del fatto che in quel 2017 Tolmezzo era stata inserita nel novero delle Città
Alpine a livello nazionale, per convincere la Regione a investire per farne veramente
una “città alpina”, promuovendola a capitale della montagna regionale. Si
trattava per la Regione di dare un senso all’investimento fatto per costruire a
Tolmezzo un “palazzo della Regione”. Il palazzo poteva avere un senso soltanto
immaginando un decentramento di funzioni regionali, non tanto a livello
amministrativo, quanto riguardo alle azioni che la Regione aveva in programma
per favorire lo sviluppo della montagna.
Un po’
quello che si era pensato a suo tempo istituendo l’Agemont. In questa ottica
venne logico a livello urbanistico pensare che si dovessero considerare spazi regionali,
(impegnando la Regione ad occuparli e riutilizzarli) gli spazi pubblici sulla
via di fronte al Palazzo regionale: gli uffici comunali di Via Linussio, l’ex
Istituto Magistrale e anche la sede del Cosilt.
Per
farne che si chiesero in Regione? Scattò la classica lampadina! Morta l’idea
perseguita dal Consorzio Universitario di portare a Tolmezzo una facoltà. Morta
opportunamente perché senza senso l’idea di decentrare facoltà universitarie.
La si riprese pensando a una sezione staccata della Scuola Normale si Udine. Un
anno di perfezionamento post-laurea finalizzato a declinare le competenze
acquisite, nei vari percorsi di laurea, sulla peculiarità dello sviluppo della
montagna. Una scuola quindi per la montagna di livello nazionale, gestita dalla
Regione assieme all’Università di Udine.
Un Master per venti persone, riconosciuto a livello ministeriale, con l’adesione
delle Regioni attraverso la messa a disposizione di borse di studio per la
frequenza. Soltanto in un paio d’anni divenne la scuola della montagna per
eccellenza, la scuola per i manager dello sviluppo montano nelle Regioni di
provenienza. Si dovette pensare subito a duplicarla nell’ambito del programma
Spazio Alpino, con un’analoga scuola internazionale con l’adesione degli Stati
transfrontalieri interessati dal programma.
A
caduta si collegò un altro discorso che consentì di valorizzare l’edificio dell’ex
Istituto Magistrale. All’istituto professionale per cuochi e camerieri già
attivo, si collegò un biennio di perfezionamento, per quanti volevano imparare
a gestire in proprio le competenze acquisite, diventando imprenditori dell’accoglienza
turistica. Periti turistici quindi, educati a vedersi realizzati non nell’ambito
della burocrazia regionale, ma nel gestirsi in proprio, trasformando in
opportunità le potenzialità del territorio.
All’interno
dell’istituto si applicò un innovativo programma di alternanza scuola lavoro.
La centralità dell’edificio consentì di aprire la gestione di un bar e di un
piccolo ristorante, aperto al pubblico.
Mentre
la Regione, per intervento diretto, stava realizzando queste cose, con un suo adeguato
finanziamento, l’UTI della Carnia era venuto trasformando la Caserma Cantore
nel cuore dello sviluppo della Carnia. Vi aveva trasferito la sede di
rappresentanza. E occupando locali che in passato avevano visto i protagonisti
di uno sviluppo riconosciuto a livello europeo, i Sindaci, avevano cominciato a
smettere la mentalità ristretta della logica del loro campanile, per pensare
nella prospettiva della Carnia come una unica Comunità. S’era finalmente capito
che solo dallo sviluppo complessivo della Carnia sarebbe potuta venire la
salvezza per i loro campanili.
Accanto
alla sede di rappresentanza si erano trasferiti tutti gli uffici, ma soprattutto
si erano trasferiti gli Enti strumentali di sviluppo economico e sociale a
partire dal Cosilt. I Sindaci che, come s’è visto, avevano iniziato a capire
cosa significasse essere manager dello
sviluppo economico e sociale del proprio Comune, capirono che, ancora di più,
questo doveva il ruolo che assumevano all’interno dell’UTI. Finiti in quello che era stato il grande
sogno di un carnico che partito da Paularo era riuscito a pensare a livello
europeo, capirono che anche loro dovevano avere un “dream”, dovevano pensare in
grande, avendo come obiettivo lo sviluppo economico del territorio.
Rinacque
così la “Fabbrica Linussio”, come espansione e sviluppo della Comunità Carnica.
Linussio aveva saputo trasformare il territorio in una “fabbrica”, collocando
sul territorio un sistema di piccole fabbriche che avevano nella “Fabbrica” il
centro del sistema. I Consorzi di settore, collocati nei locali dell’ex
fabbrica, divennero, i moderni centri di rete, di tante piccole fabbriche, in
capo a giovani imprenditori innovativi, capaci di trasformare in vantaggi
economici le opportunità del territorio, in campo turistico, artigianale e dei
servizi.
A
questo punto il piano regolatore del Comune di Tolmezzo non poteva che prendere
atto di ciò che era avvenuto. Furono così destinati a spazi a gestione
comunitaria gli spazi dell’ex-caserma, a spazi della Regione quelli insistenti
su Via Cesare Battisti. Il Comune venne accentrandosi su Piazza XX settembre,
occupando gli spazi dell’ex Tribunale. Con un’espansione intelligente nei
locali che erano stati della Comunità. Divennero infatti un centro di
aggregazione socio culturale, che aveva nella ex sala riunioni della Comunità, ad
un tempo, il punto di aggregazione e l’interfaccia verso il territorio.
Rimaneva
senza destinazione la caserma Del Din. Ridotta dall’incuria ad un cumulo di
macerie, restava solo il sedime.
Qualcuno avrebbe voluto farne un nuovo quartiere di case popolari, alla fine
prevalse l’idea originale di farne un’espansione della Stazione delle
autocorriere. In una accezione completamente nuova: quella di deposito e centro
servizi per il car-sharing e il car-pooling. Metodologia innovativa di uso dei
mezzi pubblici e privati che aveva avuto un’espansione virale e che in pratica era
venuta costituendo in nuovo sistema di
trasporti per la Carnia.