domenica 12 febbraio 2017

Dalla fine delle Caserme la nuova Tolmezzo.

Dalle fine delle Caserme la nuova Tolmezzo.

                La dismissione della Caserma Cantore, assieme alla Del Din, dopo il pianto di prammatica sui danni che sarebbero derivati dalla perdita dei militari che vi prestavano servizio, è diventata, in quel fatidico 2017, la più importante occasione  per il rilancio economico e sociale che ha portato, come s’è più volte detto, ai mitici anni venti della Carnia.
                A Tolmezzo si capì subito che l’utilizzo civile di due aree importanti per le dimensioni e la collocazione avrebbe potuto avere conseguenze devastanti sul piano urbanistico e quindi sul piano della organizzazione dello sviluppo urbano. Si decise quindi che l’impatto doveva essere assorbito attraverso una variante generale al Piano regolatore che rivedesse l’organizzazione di tutti gli spazi pubblici.
                A monte però ci fu una decisione che provocò non poche polemiche ma che si rivelò la chiave di volta del nuovo sistema: Tolmezzo rinunciò alla proprietà della Caserma a favore della appena costituita Unità Territoriale Intercomunale della Carnia.  Venne quindi spontaneo il ragionamento successivo per il quale si immaginò una articolazione funzionale a tre livelli degli spazi pubblici sul territorio comunale: gli spazi comunali, gli spazi da capitale della Carnia, gli spazi da riferimento regionale per l’area montana.
                Si licet parva componere magnis, si ragionò sulla Caserma Cantore paragonando Tolmezzo a Roma. Una cosa è il Campidoglio, altra cosa il Quirinale! Se in piazza XX settembre c’è la sede del Comune, la caserma Cantore va destinata alle funzioni di capitale della Carnia. Andava immaginata quindi come sede di rappresentanza della Carnia, spostando gli Uffici amministrativi allora mal sistemati in Via Carnia Libera, e collegandovi tutti i centri servizi a valenza territoriale.
                Si approfittò del fatto che in quel 2017 Tolmezzo era stata inserita nel novero delle Città Alpine a livello nazionale, per convincere la Regione a investire per farne veramente una “città alpina”, promuovendola a capitale della montagna regionale. Si trattava per la Regione di dare un senso all’investimento fatto per costruire a Tolmezzo un “palazzo della Regione”. Il palazzo poteva avere un senso soltanto immaginando un decentramento di funzioni regionali, non tanto a livello amministrativo, quanto riguardo alle azioni che la Regione aveva in programma per favorire lo sviluppo della montagna.
                Un po’ quello che si era pensato a suo tempo istituendo l’Agemont. In questa ottica venne logico a livello urbanistico pensare che si dovessero considerare spazi regionali, (impegnando la Regione ad occuparli e riutilizzarli) gli spazi pubblici sulla via di fronte al Palazzo regionale: gli uffici comunali di Via Linussio, l’ex Istituto Magistrale e anche la sede del Cosilt.
                Per farne che si chiesero in Regione? Scattò la classica lampadina! Morta l’idea perseguita dal Consorzio Universitario di portare a Tolmezzo una facoltà. Morta opportunamente perché senza senso l’idea di decentrare facoltà universitarie. La si riprese pensando a una sezione staccata della Scuola Normale si Udine. Un anno di perfezionamento post-laurea finalizzato a declinare le competenze acquisite, nei vari percorsi di laurea, sulla peculiarità dello sviluppo della montagna. Una scuola quindi per la montagna di livello nazionale, gestita dalla Regione assieme  all’Università di Udine. Un Master per venti persone, riconosciuto a livello ministeriale, con l’adesione delle Regioni attraverso la messa a disposizione di borse di studio per la frequenza. Soltanto in un paio d’anni divenne la scuola della montagna per eccellenza, la scuola per i manager dello sviluppo montano nelle Regioni di provenienza. Si dovette pensare subito a duplicarla nell’ambito del programma Spazio Alpino, con un’analoga scuola internazionale con l’adesione degli Stati transfrontalieri interessati dal programma.
                A caduta si collegò un altro discorso che consentì di valorizzare l’edificio dell’ex Istituto Magistrale. All’istituto professionale per cuochi e camerieri già attivo, si collegò un biennio di perfezionamento, per quanti volevano imparare a gestire in proprio le competenze acquisite, diventando imprenditori dell’accoglienza turistica. Periti turistici quindi, educati a vedersi realizzati non nell’ambito della burocrazia regionale, ma nel gestirsi in proprio, trasformando in opportunità le potenzialità del territorio.
                All’interno dell’istituto si applicò un innovativo programma di alternanza scuola lavoro. La centralità dell’edificio consentì di aprire la gestione di un bar e di un piccolo ristorante, aperto al pubblico.
                Mentre la Regione, per intervento diretto, stava realizzando queste cose, con un suo adeguato finanziamento, l’UTI della Carnia era venuto trasformando la Caserma Cantore nel cuore dello sviluppo della Carnia. Vi aveva trasferito la sede di rappresentanza. E occupando locali che in passato avevano visto i protagonisti di uno sviluppo riconosciuto a livello europeo, i Sindaci, avevano cominciato a smettere la mentalità ristretta della logica del loro campanile, per pensare nella prospettiva della Carnia come una unica Comunità. S’era finalmente capito che solo dallo sviluppo complessivo della Carnia sarebbe potuta venire la salvezza per i loro campanili.
                Accanto alla sede di rappresentanza si erano trasferiti tutti gli uffici, ma soprattutto si erano trasferiti gli Enti strumentali di sviluppo economico e sociale a partire dal Cosilt. I Sindaci che, come s’è visto, avevano iniziato a capire cosa significasse essere manager  dello sviluppo economico e sociale del proprio Comune, capirono che, ancora di più, questo doveva il ruolo che assumevano all’interno dell’UTI.  Finiti in quello che era stato il grande sogno di un carnico che partito da Paularo era riuscito a pensare a livello europeo, capirono che anche loro dovevano avere un “dream”, dovevano pensare in grande, avendo come obiettivo lo sviluppo economico del territorio.
                Rinacque così la “Fabbrica Linussio”, come espansione e sviluppo della Comunità Carnica. Linussio aveva saputo trasformare il territorio in una “fabbrica”, collocando sul territorio un sistema di piccole fabbriche che avevano nella “Fabbrica” il centro del sistema. I Consorzi di settore, collocati nei locali dell’ex fabbrica, divennero, i moderni centri di rete, di tante piccole fabbriche, in capo a giovani imprenditori innovativi, capaci di trasformare in vantaggi economici le opportunità del territorio, in campo turistico, artigianale e dei servizi.
                A questo punto il piano regolatore del Comune di Tolmezzo non poteva che prendere atto di ciò che era avvenuto. Furono così destinati a spazi a gestione comunitaria gli spazi dell’ex-caserma, a spazi della Regione quelli insistenti su Via Cesare Battisti. Il Comune venne accentrandosi su Piazza XX settembre, occupando gli spazi dell’ex Tribunale. Con un’espansione intelligente nei locali che erano stati della Comunità. Divennero infatti un centro di aggregazione socio culturale, che aveva nella ex sala riunioni della Comunità, ad un tempo, il punto di aggregazione e l’interfaccia verso il territorio.
                Rimaneva senza destinazione la caserma Del Din. Ridotta dall’incuria ad un cumulo di macerie, restava solo  il sedime. Qualcuno avrebbe voluto farne un nuovo quartiere di case popolari, alla fine prevalse l’idea originale di farne un’espansione della Stazione delle autocorriere. In una accezione completamente nuova: quella di deposito e centro servizi per il car-sharing e il car-pooling. Metodologia innovativa di uso dei mezzi pubblici e privati che aveva avuto un’espansione virale e che in pratica era venuta costituendo in  nuovo sistema di trasporti per la Carnia.