venerdì 29 novembre 2019

Le cooperative di paese, i Municipi e il fare impresa.



Le cooperative di paese, i Municipi e il “fare impresa”.

Al passato non si ritorna ma dal passato si possono ricavare utili suggerimenti per il futuro. La Carnia per quasi un millennio fino al disastro portato dal ciclone Napoleone, come si legge  nella mia  Storia della Carnia, era un territorio organizzato in vicinie: prati e boschi erano di proprietà dei paese, non dei privati. Era così più facile impostare la gestione!
Si è pensato a questo negli anni venti organizzando le cooperative di paese. Lasciando perdere il discorso sul commassamento delle proprietà parcellizzate,  troppo complicato, si è costituito una cooperativa per condividere l’uso collettivo delle proprietà sia pratiche che boschive.
I territori incolti lasciavano avanzare il bosco che seppellivano i paesi già in agonia per la fuga dalla gente dovuta alla mancanza di servizi. La cooperativa fu il primo passo per invertire la tendenza. Con il conferimento dell’uso dei terreni incolti in proprietà le famiglie diventavano socie. Si riattivarono quindi di fatto le cooperative che gestivano le latterie fino agli anni 60 del Novecento.
            In qualche caso si trovò un giovane imprenditore agricolo cui affidare la gestione dei terreni così accorpati, in altri si arrivò a gestire in proprio un gregge di pecore, dando lavoro al solito disoccupato del paese. Con le attrezzature messe a disposizione dalla cooperativa, dei giovani procuravano le legna da ardere per tutto il paese. Mentre si discuteva se non fosse stato possibile allestire un sistema di teleriscaldamento.       Come era stato per le latteria la cooperativa faceva da aggregatore sociale, sviluppando iniziative a favore dei soci e quindi del paese.Si trovò una giovane madre disposta a tenere altri bambini oltre al suo e nacque l’asilo di famiglia, copiando l’idea del Tagesmutter. Contando sulla disponibilità di un anziano si organizzò il doposcuola, sia per le elementari che per le medie, ritenendo imprescindibile che i ragazzi imparassero a vivere in paese, conoscendo la sua storia. Per i giovani frequentanti le superiori e in qualche caso anche per gli universitari si organizzò l’alternanza scuola-lavoro, ampliata nell’idea di scuola-territorio. Obiettivo: diffondere la cultura e la mentalità imprenditoriale, portando a pensare il territorio nelle sue opportunità di business, o alla possibilità di importare opportunità di business su iniziative sia artigianali, di trasformazione dei prodotti locali che ad alta tecnologia, secondo le specifiche inclinazioni di ognuno. I doposcuola di paese  naturalmente erano in rete tra loro e con le scuole statali.
            Si mandarono dei giovani a fare dei corsi di pronto soccorso ma la squadra oltreché dei defibrillatori fu dotata d’uno strumento di telemedicina. Intervenendo l’infermiere indossava degli occhiali che lo facevano sembrare un nuotatore subacqueo. Erano strumenti attraverso i quali il medico dell’ospedale vedeva a distanza ciò che vedeva l’infermiere, captava le reazioni dell’ammalato al tocco dell’infermiere, ridotto a un uomo che si muoveva come un robot, comandato a distanza dal medico. Era come avere l’ospedale in paese!
            Si ottenne dal Comune che appaltasse a un privato il servizio di trasporto alunni come trasporto “persone e beni per il paese”. Aveva preso così ad arrivare ogni mattina un mezzo che portava il pane, i medicinali e i generi alimentari e ogni altra cosa fosse stata ordinata nei negozi del centro sede del Comune  il giorno precedente, compresa la posta. Nella casa della vicinia, ogni famiglia aveva un box personale nel quale, si recuperava quanto era stato depositato dall’addetto al trasporto.
            Nel frattempo si era allestita la “casa del paese”.!
            Si legge nella mia storia che, nel 1602 il Vicario patriarcale Agostino Bruno in visita alle chiese della Carnia, denunciò che molti curati per arrotondare il magro quartese avevano trasformato le canoniche in  osterie e spacci di alimentari. Gli immobili errano di solito proprietà comunali bastò riprenderseli e fare in forma cooperativa ciò che facevano i preti nel Seicento.
            Ma l’immobile era diventato veramente la “casa della comunità”. Come nelle vicinie storiche si eleggeva l’armentarius e il porcarius, che si occupavano delle vacche e dei porci, nelle nuove vicinie si nominava l’incaricato di gestire il punto di ritrovo. Un anno a famiglia! Come annuali erano tutti gli incarichi. Come per gli storici “meriga”  l’incarico a titolo gratuito era un onere, per questo era indispensabile la rotazione annuale.
             A evitare problemi con la Finanza si stabilì che non si trattava di attività economica ma di scambio di favori.  Il che era reso evidente dalla reintroduzione della moneta locale che aveva valore all’interno della vicinia, stabilendo il valore dello scambio. (Come nelle latterie del Novecento si acquistavano le “plèches” per acquistare il laticello). Qualche famiglia più intraprendente nel suo anno di gestione prese a organizzare della feste, degli incontri culturali, degli incontri per giocare. L’invidia “virtù” endemica dei carnici mise in concorrenza tra loro le vicinie a che si inventava qualcosa di nuovo per differenziarsi. La gara storica dei campanili divenne gara a chi sapeva rendere più vivibile e più accogliente il proprio paese.
            La Regione aveva istituito l’Istituto Autonomo per il ripopolamento della montagna, in sostituzione di quello delle case popolari. Aveva acquistato alcune case in vendita aveva trovato dei giovani imprenditori disposti a trasferirsi, aveva sistemato le case secondo le loro esigenze e le aveva assegnato a riscatto trentennale agevolato. Il titolo di proprietà dava ai nuovi abitanti il diritto a far parte della cooperativa, e il loro contributo di idee e di entusiasmo diede una svolta decisiva per il decollo della vicinia, come comunità nella quale era bello vivere, si poteva scegliere di vivere come in effetti presero a fare altri giovani, figli di abitanti storici che avevano abbandonato il paese, ma anche gente di città che apprezzava il senso che si era riusciti a dare al “vivere in paese”.
            In alcune famiglie di attivarono dei B&B che consentivano un’ integrazione del reddito ma anche il fatto che il paese fosse abitato da persone attratte dalla bellezza del “vivere in paese”. Si creò così un circuito virtuoso che in breve ripopolò il paese al punto che, come nelle storiche vicine, si dovettero stabilire dei criteri per “serrare” il paese, per evitare l’eccesso di popolazione!!!!

I Municipi.
            Le iniziative in campo sociale non nascono spontaneamente come i funghi ma sono il risultato dell’iniziativa di qualcuno. Nel caso della Carnia degli anni venti lo sviluppo delle “cooperative di paese” e stato favorito dal fatto che i Comuni hanno anticipato quello che sarebbe stato il loro ruolo di Municipi, quando si fosse realizzata la riforma del Comune unico. Delegata alla UTI/Comunità montane le funzioni tecnico amministrative, si assunsero il compito di agenti dello sviluppo socio-economico del loro territorio, partendo dalle singole realtà di paese. Assunto l’obiettivo di rianimare i paesi attraverso la costituzione delle cooperative, si assunsero il compito di animatori o facilitatori che dir si voglia, per favorirne la costituzione. Ci furono grandi discussioni, infinite riunioni ma alla fine in alcuni paesi dove il degrado sociale era evidente per la mancanza di ogni servizio, ma allo stesso tempo la popolazione era ancora così consistente da fare massa critica, l’idea decollò, per poi diffondersi, a caduta anche in realtà più difficili.
            Furono facilitati dall’obbligo alla manutenzione dei terreni agricoli imposti dalla legge regionale n. 10 del 2010 che riguarda proprio “Interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani”, e consente ai Comuni l’intervento come esproprio temporaneo.. Stimolarono il passaggio nella disponibilità della cooperativa come atto volontario e quindi il farsi soci, facendo presente che in alternativa si sarebbe ricorsi all’imposizione, all’esproprio dell’uso dei terreni incolti. La volontarietà del conferimento, con facoltà di recesso nel caso ritenessero di passare alla gestione autonoma, favorì l’operazione. Alcuni infatti chiesero di coltivare in proprio, gli apprezzamenti che storicamente erano stati utilizzati a campo. Anzi la cooperativa favorì l’iniziativa, dotandosi di attrezzature all’avanguardia da mettere a disposizione dei soci-coltivatori, e di servizi di marketing per la vendita in loco e online dei prodotti..
            Furono i Municipi ad attivare la banda larga, ad attivare il trasporto multifunzione e multi servizio, a mettere a disposizione i locali per il doposcuola, e quelli per la “casa della vicinia”. Furono loro, ad attivarsi perché fosse impostato il servizio di telemedicina.
            Furono loro a fare il marketing dell’idea, favorendo lo sviluppo dei B&& e la loro messa in rete. Si affermò così accanto all’Albergo diffuso l’Albergo diffuso virtuale”, ottenuto potenziando l’attività della  già esistente cooperativa tra gestori di B&B. Furono loro a impegnarsi nella diffusione della cultura dell’accoglienza per far in modo che il territorio unisse alle bellezze naturali, una particolare sensibilità e disponibilità dei residenti nei confronti dei turisti
            A monte la ripresa del progetto “Imprenderò”, un’azione a vari livelli per diffondere l’idea che mettere a frutto la propria ingegnosità per attuare “in proprio” qualcosa fosse un modo per realizzarsi al meglio sul piano umano prima ancora che una scelta economica.
            In collegamento con il Consorzio industriale diventato Agenzia di sviluppo della Carnia, che promuoveva le start up in ogni settore con il suo progetto “Impresa” . Era previsto uno scouting a livello regionale per indurre i portatori di idee a trasferirsi in Carnia, unendosi ai portatori di idee locali. Ogni idea, se considerata fattibile, veniva partecipata dall’Agenzia al 49% e assistita mettendo a disposizione gli “angeli” che dovevano seguire l’iniziativa nella fase di decollo. Si avviarono le iniziative più disparate, da quelle che presero a utilizzare il Vallo Littorio per stagionare i formaggi, o far crescere piante officinali in ambiente protetto, fino a quella che attivò a Gracco di Rigolato un laboratorio di ricerca sulle cellule staminali in collaborazione con l’Università di Francoforte.