Le
cooperative di paese, i Municipi e il “fare impresa”.
Al
passato non si ritorna ma dal passato si possono ricavare utili suggerimenti
per il futuro. La Carnia per quasi un millennio fino al disastro portato dal
ciclone Napoleone, come si legge nella
mia Storia della Carnia, era un
territorio organizzato in vicinie: prati e boschi erano di proprietà dei paese,
non dei privati. Era così più facile impostare la gestione!
Si
è pensato a questo negli anni venti organizzando le cooperative di paese. Lasciando perdere il discorso sul
commassamento delle proprietà parcellizzate,
troppo complicato, si è costituito una cooperativa per condividere l’uso
collettivo delle proprietà sia pratiche che boschive.
I
territori incolti lasciavano avanzare il bosco che seppellivano i paesi già in
agonia per la fuga dalla gente dovuta alla mancanza di servizi. La cooperativa
fu il primo passo per invertire la tendenza. Con il conferimento dell’uso dei
terreni incolti in proprietà le famiglie diventavano socie. Si riattivarono
quindi di fatto le cooperative che gestivano le latterie fino agli anni 60 del
Novecento.
In qualche caso si trovò un giovane
imprenditore agricolo cui affidare la gestione dei terreni così accorpati, in
altri si arrivò a gestire in proprio un gregge di pecore, dando lavoro al
solito disoccupato del paese. Con le attrezzature messe a disposizione dalla
cooperativa, dei giovani procuravano le legna da ardere per tutto il paese.
Mentre si discuteva se non fosse stato possibile allestire un sistema di
teleriscaldamento. Come era stato
per le latteria la cooperativa faceva da aggregatore sociale, sviluppando
iniziative a favore dei soci e quindi del paese.Si trovò una giovane madre
disposta a tenere altri bambini oltre al suo e nacque l’asilo di famiglia,
copiando l’idea del Tagesmutter. Contando sulla disponibilità di un anziano si
organizzò il doposcuola, sia per le elementari che per le medie, ritenendo
imprescindibile che i ragazzi imparassero a vivere in paese, conoscendo la sua
storia. Per i giovani frequentanti le superiori e in qualche caso anche per gli
universitari si organizzò l’alternanza scuola-lavoro, ampliata nell’idea di
scuola-territorio. Obiettivo: diffondere la cultura e la mentalità
imprenditoriale, portando a pensare il territorio nelle sue opportunità di
business, o alla possibilità di importare opportunità di business su iniziative
sia artigianali, di trasformazione dei prodotti locali che ad alta tecnologia,
secondo le specifiche inclinazioni di ognuno. I doposcuola di paese naturalmente erano in rete tra loro e con le
scuole statali.
Si mandarono dei giovani a fare dei
corsi di pronto soccorso ma la squadra oltreché dei defibrillatori fu dotata
d’uno strumento di telemedicina. Intervenendo l’infermiere indossava degli
occhiali che lo facevano sembrare un nuotatore subacqueo. Erano strumenti
attraverso i quali il medico dell’ospedale vedeva a distanza ciò che vedeva
l’infermiere, captava le reazioni dell’ammalato al tocco dell’infermiere,
ridotto a un uomo che si muoveva come un robot, comandato a distanza dal
medico. Era come avere l’ospedale in paese!
Si ottenne dal Comune che appaltasse
a un privato il servizio di trasporto alunni come trasporto “persone e beni per
il paese”. Aveva preso così ad arrivare ogni mattina un mezzo che portava il
pane, i medicinali e i generi alimentari e ogni altra cosa fosse stata ordinata
nei negozi del centro sede del Comune il
giorno precedente, compresa la posta. Nella casa della vicinia, ogni famiglia
aveva un box personale nel quale, si recuperava quanto era stato depositato
dall’addetto al trasporto.
Nel frattempo si era allestita la
“casa del paese”.!
Si legge nella mia storia che, nel 1602 il
Vicario patriarcale Agostino Bruno in visita alle chiese della Carnia, denunciò
che molti curati per arrotondare il magro quartese avevano trasformato le
canoniche in osterie e spacci di
alimentari. Gli immobili errano di solito proprietà comunali bastò riprenderseli e fare in forma cooperativa ciò che facevano i preti nel Seicento.
Ma l’immobile era diventato
veramente la “casa della comunità”. Come nelle vicinie storiche si eleggeva
l’armentarius e il porcarius, che si occupavano delle vacche e dei porci, nelle
nuove vicinie si nominava l’incaricato di gestire il punto di ritrovo. Un anno
a famiglia! Come annuali erano tutti gli incarichi. Come per gli storici
“meriga” l’incarico a titolo gratuito
era un onere, per questo era indispensabile la rotazione annuale.
A evitare problemi con la Finanza si stabilì
che non si trattava di attività economica ma di scambio di favori. Il che era reso evidente dalla reintroduzione
della moneta locale che aveva valore all’interno della vicinia, stabilendo il
valore dello scambio. (Come nelle latterie del Novecento si acquistavano le
“plèches” per acquistare il laticello). Qualche famiglia più intraprendente nel
suo anno di gestione prese a organizzare della feste, degli incontri culturali,
degli incontri per giocare. L’invidia “virtù” endemica dei carnici mise in
concorrenza tra loro le vicinie a che si inventava qualcosa di nuovo per
differenziarsi. La gara storica dei campanili divenne gara a chi sapeva rendere
più vivibile e più accogliente il proprio paese.
La Regione aveva istituito
l’Istituto Autonomo per il ripopolamento della montagna, in sostituzione di
quello delle case popolari. Aveva acquistato alcune case in vendita aveva
trovato dei giovani imprenditori disposti a trasferirsi, aveva sistemato le
case secondo le loro esigenze e le aveva assegnato a riscatto trentennale
agevolato. Il titolo di proprietà dava ai nuovi abitanti il diritto a far parte
della cooperativa, e il loro contributo di idee e di entusiasmo diede una
svolta decisiva per il decollo della vicinia, come comunità nella quale era
bello vivere, si poteva scegliere di vivere come in effetti presero a fare
altri giovani, figli di abitanti storici che avevano abbandonato il paese, ma
anche gente di città che apprezzava il senso che si era riusciti a dare al
“vivere in paese”.
In alcune famiglie di attivarono dei
B&B che consentivano un’ integrazione del reddito ma anche il fatto che il
paese fosse abitato da persone attratte dalla bellezza del “vivere in paese”.
Si creò così un circuito virtuoso che in breve ripopolò il paese al punto che,
come nelle storiche vicine, si dovettero stabilire dei criteri per “serrare” il
paese, per evitare l’eccesso di popolazione!!!!
I Municipi.
Le iniziative in campo sociale non
nascono spontaneamente come i funghi ma sono il risultato dell’iniziativa di
qualcuno. Nel caso della Carnia degli anni venti lo sviluppo delle “cooperative
di paese” e stato favorito dal fatto che i Comuni hanno anticipato quello che
sarebbe stato il loro ruolo di Municipi, quando si fosse realizzata la riforma
del Comune unico. Delegata alla UTI/Comunità montane le funzioni tecnico
amministrative, si assunsero il compito di agenti dello sviluppo
socio-economico del loro territorio, partendo dalle singole realtà di paese.
Assunto l’obiettivo di rianimare i paesi attraverso la costituzione delle
cooperative, si assunsero il compito di animatori o facilitatori che dir si
voglia, per favorirne la costituzione. Ci furono grandi discussioni, infinite
riunioni ma alla fine in alcuni paesi dove il degrado sociale era evidente per
la mancanza di ogni servizio, ma allo stesso tempo la popolazione era ancora
così consistente da fare massa critica, l’idea decollò, per poi diffondersi, a
caduta anche in realtà più difficili.
Furono facilitati dall’obbligo alla
manutenzione dei terreni agricoli imposti dalla legge regionale n. 10 del 2010
che riguarda proprio “Interventi di promozione per la cura e conservazione
finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati
nei territori montani”, e consente ai Comuni l’intervento
come esproprio temporaneo..
Stimolarono il
passaggio nella disponibilità della cooperativa come atto volontario e quindi
il farsi soci, facendo presente che in alternativa si sarebbe ricorsi
all’imposizione, all’esproprio dell’uso dei terreni incolti. La volontarietà
del conferimento, con facoltà di recesso nel caso ritenessero di passare alla
gestione autonoma, favorì l’operazione. Alcuni infatti chiesero di coltivare in
proprio, gli apprezzamenti che storicamente erano stati utilizzati a campo.
Anzi la cooperativa favorì l’iniziativa, dotandosi di attrezzature
all’avanguardia da mettere a disposizione dei soci-coltivatori, e di servizi di
marketing per la vendita in loco e online dei prodotti..
Furono i Municipi ad attivare la
banda larga, ad attivare il trasporto multifunzione e multi servizio, a mettere
a disposizione i locali per il doposcuola, e quelli per la “casa della
vicinia”. Furono loro, ad attivarsi perché fosse impostato il servizio di
telemedicina.
Furono loro a fare il marketing
dell’idea, favorendo lo sviluppo dei B&& e la loro messa in rete. Si
affermò così accanto all’Albergo diffuso l’Albergo diffuso virtuale”, ottenuto
potenziando l’attività della già
esistente cooperativa tra gestori di B&B. Furono loro a impegnarsi nella
diffusione della cultura dell’accoglienza per far in modo che il territorio
unisse alle bellezze naturali, una particolare sensibilità e disponibilità dei
residenti nei confronti dei turisti
A monte la ripresa del progetto
“Imprenderò”, un’azione a vari livelli per diffondere l’idea che mettere a
frutto la propria ingegnosità per attuare “in proprio” qualcosa fosse un modo
per realizzarsi al meglio sul piano umano prima ancora che una scelta
economica.
In collegamento con il Consorzio
industriale diventato Agenzia di sviluppo della Carnia, che promuoveva le start
up in ogni settore con il suo progetto “Impresa” . Era previsto uno scouting a
livello regionale per indurre i portatori di idee a trasferirsi in Carnia,
unendosi ai portatori di idee locali. Ogni idea, se considerata fattibile,
veniva partecipata dall’Agenzia al 49% e assistita mettendo a disposizione gli
“angeli” che dovevano seguire l’iniziativa nella fase di decollo. Si avviarono
le iniziative più disparate, da quelle che presero a utilizzare il Vallo
Littorio per stagionare i formaggi, o far crescere piante officinali in ambiente
protetto, fino a quella che attivò a Gracco di Rigolato un laboratorio di
ricerca sulle cellule staminali in collaborazione con l’Università di
Francoforte.